Auto elettrica, è flop nei primi mesi dell’anno in tutto il mondo! Le imposizioni di Bruxelles sono destinate a diventare carta straccia

Auto elettrica in tilt: ora frenano anche Stati e case produttrici. Ecco perché

di Fabio Massimo Signoretti per Repubblica
ROMA – Le vendite di auto elettriche in Europa e, in particolare in Italia, stanno segnando il passo, mentre resistono, e in qualche Paese aumentano, le immatricolazioni di vetture a benzina e diesel.

A gennaio la quota di mercato delle auto full electric nel Vecchio continente è scesa all’11,9% contro il 15,7% del 2023, mentre nel nostro Paese è crollata addirittura al 2,1% dal 4,2% dell’intero anno scorso. Questi dati dimostrano che la spinta verso la transizione della mobilità all’elettrico si sta affievolendo, perché le vendite non stanno aumentando con la progressione prevista, mettendo a rischio il rispetto dei tempi stabiliti dalle autorità politiche e gli stessi programmi delle case automobilistiche.

È vero che calcolando il complesso delle auto elettrificate, quindi includendo anche le ibride full, mild e plug-in, i dati sono più incoraggianti sia in Italia che in Europa. Ma proprio il loro successo dimostra che l’abbandono totale dei motori termici (in questo caso abbinati a propulsori elettrici) è ancora lontano.

Oltretutto la crescita (ridotta) non sarà uniforme in tutto il mondo: per Bloomberg Nef nel 2024 saranno venduti nel mondo 16,7 milioni di veicoli elettrici privati, ma di questi il 60% sarà in Cina (e a gennaio anche le immatricolazioni di elettriche sul mercato cinese, il primo del globo, sono cadute di oltre il 38%). Quindi l’obiettivo di arrivare a una mobilità solo elettrica almeno in Europa e nel mondo Occidentale rischia di rimanere a lungo una chimera. Anche perché i motori termici sono duri a morire: a gennaio il mercato delle auto a benzina nell’Ue è salito del 4%, con un +26,7% in Italia e un +16,9% in Germania. E anche il diesel resiste bene, perché le sue vendite a gennaio 2024 hanno superato quelle delle elettriche, con una quota in Europa del 13,4%.

I motivi del mancato boom delle auto a batteria dal lato dei consumatori sono sempre gli stessi: prezzi troppo alti, colonnine in aumento ma poche a carica ultra-rapida, scarsa facilità d’uso, eccesso di modelli premium in listino, resistenza al cambiamento.

Il problema degli ultimi mesi, però, è che anche la politica sta frenando sulla transizione all’elettrico (tranne in Francia dove anzi lo Stato, azionista di Renault e Stellantis, si è inventato anche il Leasing sociale). E di conseguenza anche i costruttori, messi in mezzo tra alti investimenti e costi, vendite che non decollano, guerra dei prezzi avviata da Tesla e riduzione o eliminazione degli incentivi statali in molti Paesi, stanno a loro volta tagliando produzione e dipendenti.

Il Regno Unito ha eliminato gli ecobonus dal 2022, mentre la Germania, alle prese con una difficile situazione economica interna, lo ha fatto alla fine dello scorso anno, compromettendo i risultati complessive delle elettriche in Europa visto che quello tedesco è il primo mercato del Vecchio continente. Ma anche nei Paesi che li hanno rinnovati, come l’Italia, le elettriche ne hanno beneficiato poco: in attesa della nuova tornata di aprile (e che i costruttori stanno già anticipando), nel nostro Paese sono stati utilizzati tutti i 120 milioni stanziati per i motori termici a basse emissioni, mentre dei 423 milioni previsti per favorire l’acquisto di auto elettriche e ibride ne sono stati usati solo 10.

Sulle mosse degli Stati pesano le difficoltà economiche ma anche l’attesa per le prossime elezioni europee: una vittoria dei conservatori o la ricerca di nuovi equilibri, potrebbe portare a una revisione dei piani green messi a punto dall’attuale Commissione su spinta dei socialisti. E se si arrivasse ad adottare la neutralità tecnologica per arrivare alla riduzione delle emissioni, senza crociate solo sull’elettrico, la situazione potrebbe cambiare. Inoltre, non aiuta la disaffezione della grande finanza Usa verso i Fondi Esg, che investono nel sostenibile (anche qui probabilmente in vista di una possibile vittoria di Donald Trump alle prossime elezioni): nell’ultimo trimestre 2023 i deflussi netti sono ammontati a ben 5 miliardi di dollari, per un totale su base annua di 13 miliardi, dando la sensazione che tutto questo era solo un’altra “bolla”, un “greenwashing” per attirare capitali.

In questo quadro, anche i costruttori, pur sostenendo che “tornare indietro è impossibile” visti gli investimenti massicci fatti per la transizione all’elettrico (1,2 trilioni di dollari pianificati per ora secondo Reuters), stanno rivedendo in parte i propri piani, tagliando produzione e operai. Volkswagen ha annunciato un piano di tagli da 10 miliardi, con forti riduzioni di posti di lavoro, a partire da dove si costruiscono elettriche come a Zwickau, in Germania e sta riflettendo sullo sbarco in Borsa di PowerCo, la divisione che si occupa di batterie. Mercedes ha rinunciato all’obiettivo di arrivare al 2030 con l’intera gamma solo elettrica. Polestar, che ha appena ricevuto un finanziamento da 950 milioni di dollari da banche internazionali (mentre la quota di Volvo si diluirà), ha annunciato 450 tagli.

Rivian ridurrà del 10% la forza lavoro. E Renault, che pur punta forte sull’elettrico con la nuova R5 E-Tech e la prossima R4 solo elettrica e che ha appena vinto il titolo di Auto dell’anno con la nuova Scenic a batteria, ha rinunciato a quotare Ampere, la propria divisione di mezzi solo elettrici.

Sulle auto a batteria quindi pesano molte incognite. Ma a giudicare dalla marea di modelli elettrici in arrivo, la svolta va avanti. Resta da vedere se in futuro i protagonisti saranno sempre gli stessi: l’avanzata dei brand cinesi, infatti, potrebbe portare a un consolidamento del mercato. Con una spinta ad acquisizioni e fusioni tra costruttori europei per restare competitivi. Come ha detto il Ceo di Stellantis, Carlos Tavares.

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