Il sequestro del controllo della filiale russa dell’Ariston serve a Putin per far capire a Meloni, che guida il G7, di non fare scherzi con i beni russi congelati in occidente

Il G7 a presidenza italiana è previsto in luglio, ma è una evidente ritorsione, quella di Mosca, dettata dal fatto che al vertice si discuterà (anche) di come impiegare i 300 miliardi di fondi della Banca centrale russa congelati in Europa e negli Stati Uniti. La nazionalizzazione dello stabilimento produttivo a Vsevolozhsk, nei pressi di San Pietroburgo, dell’italiana Ariston, del gruppo Merloni – e della filiale russa della tedesca Bosch – continua ad agitare le diplomazie dei rispettivi Paesi. Dall’inizio della guerra in Ucraina, la Russia ha già posto sotto “gestione temporanea” i beni di diverse aziende occidentali. “Ho dato mandato al Segretario generale della Farnesina di convocare l’ambasciatore della Federazione russa in Italia. Il Governo chiede chiarimenti sulla vicenda della nazionalizzazione dell’Ariston Thermo Group. Al lavoro anche con Bruxelles, in raccordo con la Germania”. Lo ha scritto in un messaggio su X il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Il decreto di Putin è stato firmato sulla base di una regola introdotta lo scorso anno in Russia, secondo cui il governo può decidere di sequestrare i beni di aziende di Paesi considerati “ostili”.

Sono state quindi nazionalizzate la Ariston Thermo Rus LLC, controllata da Ariston Holding, e la BSH Household Appliances LLC, controllata da BSH Hausgerate GmbH. Frattanto, “il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha avuto una conversazione telefonica con Paolo Merloni, presidente di Ariston, per un confronto sulla situazione in corso e per esprimere la vicinanza del Governo, pronto a tutelare l’azienda in ogni sede”. Lo rende noto il ministero guidato da Adolfo Urso, il quale ha poi incontrato il presidente della Regione Marche, Francesco Acquaroli, nella cui area di Fabriano la multinazionale italiana ha la sede centrale e operativa. La mossa di Mosca è un preciso segnale politico, quasi un ricatto da parte di Putin, che costituisce un precedente pericoloso: il caso Ariston è inedito per un gruppo italiano. Il sospetto è che il Cremlino stia premendo su Roma e Berlino, considerate più “indecise”, proprio per evitare misure draconiane da parte della Unione europea e del G7 sui 300 miliardi di asset russi di cui abbiamo già scritto. Il vertice della società italiana si dichiara sorpreso anche perché non ha ricevuto in anticipo “alcuna informazione” sul decreto riguardante un’attività che ha generato nel 2023 circa 100 milioni di euro di fatturato, come non manca di precisare Il Sole 24 Ore. Prosegue così l’interventismo del Cremlino nell’economia russa: dal febbraio 2022 a oggi sono state oltre 180 le imprese passate sotto il controllo diretto dello Stato russo.

Anche Bruxelles,  attraverso il Servizio Azione esterna dell’Unione europea, chiede la revoca immediata del provvedimento che riguarda l’azienda del gruppo Merloni e la tedesca Bosch. Sotto la scure del Cremlino, soltanto nel 2023, grandi gruppi occidentali, quali Carlsberg e Danone. Pur se la proprietà resta inalterata, è evidente il danno che ne consegue per le aziende europee e occidentali in genere. L’avvocato Mario Tessitore, socio dello studio legale ATKP di Mosca, specifica meglio questo punto, ancora dalle colonne del quotidiano finanziario: “Come ne caso di Danone e Carlsberg, non si tratta di una vera nazionalizzazione, ma di una forma di sottrazione della gestione: ai proprietari stranieri viene tolta la facoltà di agire quale socio, attribuita a un soggetto nazionale”.

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