Omicidio di Yara Gambirasio, siamo davvero alla svolta nel processo: l’annuncio dell’avvocato di Massimo Bossetti sui discussi reperti di Dna

Claudio Salvagni non rinuncia: è dal 12 ottobre 2018, giorno della sentenza definitiva all’ergastolo del suo cliente Massimo Bossetti, condannato per l’omicidio di Yara Gambirasio. Ora, a 5 anni da quella sentenza, l’ariete Salvagni non si ferma e forse, finalmente, riuscirà nella sua missione, ovvero mettere le mani (virtualmente sui reperti principali del caso, ovvero le provette di Dna che rappresentano la prova regina del caso ed hanno portato alla tripla conforme il muratore di Mapello.

La famiglia di Yara Gambirasio è andata avanti: ha un colpevole, ma soprattutto non ha più una figlia e nessuno e niente, neanche guardare negli occhi Bossetti e affrontarlo per giorni e notti gliela riporterà indietro. All’ultima sentenza di Cassazione neanche c’erano: i Gambirasio volevano andare avanti e concentrarsi sul far diventare la memoria della figlia un punto di inizio e non un buco nero di dolore: da questo principio è nata l’associazione dedicata a Nara, che i suoi genitori gestiscono e che è finalizzata ad aiutare giovani ragazzi a sviluppare il loro talento e la loro passione.

In aula c’erano invece Bossetti e i suoi: i legali, Salvagni e Camporini, e la sua famiglia. Fuori dall’aula, sempre i suoi: la famiglia virtuali di cittadini che credono in un rossetti innocente. Ciò che non fa andare avanti l’Italia, ciò che non si perdona forse alle indagini, è che non si ha traccia di una Yara in vita che ha un vero contatto con un Bossetti in vita: non c’è una foto che li coglie insieme, non un messaggio sul telefono, non un fotogramma in cui appaiono nello stesso metro quadrato. Non c’è modo di immaginarseli, non c’è modo di figurarseli se non in maniera molto astratta e questo Salvagni lo sa: difende il suo assistito ricordando che non c’è mai stato niente di neanche vagamente simile ad una confessione, e che c’era invece tanta, tantissima necessità di trovare un assassino, perché il Paese voleva un mostro.

Salvagni e i reperti: “consentita solo l’osservazione”, poi si vedrà

È a quella necessità che ora Salvagni si appiglia, perché secondo lui la foga della caccia al mostro ha portato a compiere degli errori, e se si scopre che questi errori sono stati fatti nel contesto dell’indagine più dispendiosa della storia italiana recente, allora le carte in tavola si rimescolano veramente. Eppure -o forse proprio per questo- il margine che viene dato a Salvagni è sempre stato poco: portato a breve vedere i reperti di Dna ma sarà “consentito il solo accesso e la sola osservazione dei reperti”. A quel punto, “all’esito della ricognizione e sulla base del verbale che la documenterà”, potrà chiedere di esaminarli, ma sarà un ulteriore e differente giudice a dire se potrà effettivamente farlo. Nel mentre Salvagni combatterà altrove: soprattutto su suolo mediatico, dove la bestia del racconto e dei retroscena è sempre affamata.

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