“Vogliamo giustizia! Spiegateci come ha contratto il virus” Valeria morta a 27 anni dopo esser stata cacciata dagli ospedali, l’ira dei genitori

Clarida Salvatori per www.corriere.it

«Vogliamo la verità, non solo su come Valeria abbia contratto la malattia, ma anche su chi avrebbe dovuta diagnosticarla e invece l’ha mandata via. Vogliamo giustizia per Valeria». Stefano, il papà della 27enne morta per una meningite batterica dopo essere stata visitata e dimessa da tre diversi ospedali romani non ha dubbi.

Andrà fino in fondo alla vicenda di malasanità che purtroppo ha colpito la sua famiglia. Il primo atto è stato presentare una denuncia in questura, e quindi incaricare degli avvocati per esaminare la documentazione clinica, a cui la procura di Roma ha dato seguito aprendo un fascicolo d’inchiesta per omicidio colposo per colpa medica, al momento contro ignoti. Mentre la Regione Lazio «ha disposto un audit per ricostruire quanto accaduto nei diversi ospedali di Roma — ha spiegato l’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato — ma ci vorrà qualche giorno».

Il calvario della giovane Valeria Fioravanti, dipendente di Aeroporti di Roma nel settore della security e da quasi 16 mesi mamma della piccola V., avuta con il compagno Fabrizio, inizia il giorno di Natale. A ripercorrere tutta la vicenda è suo papà: «Valeria aveva scoperto di avere un ascesso, una cisti sotto l’ascella destra, forse causata da un pelo. Era al lavoro quando l’hanno portata al pronto soccorso del Campus Bio-Medico. Lì le hanno praticato un’incisione e le hanno messo dei punti di sutura — ricorda —. Ma due giorni dopo la ferita si è infettata e le faceva male, per questo l’abbiamo portata al Policlinico Casilino (è il 29 dicembre, ndr) dove l’hanno medicata e rimandata a casa».

Ma neanche questo serve per aiutare Valeria. «Una volta tornati, ha cominciato a stare male veramente: mal di testa e alla spalla. Finché non ha cominciato a contorcersi dai dolori. Allora siamo tornati ancora una volta al pronto soccorso, dove mia moglie Tiziana ha insistito per una visita più approfondita. Ma il personale ha minacciato di chiamare i carabinieri. E siamo andati via».

Nonostante la prescrizione e l’uso di antinfiammatori, le condizioni della giovane donna continuano a peggiorare, così i familiari il 4 gennaio la portano al pronto soccorso del San Giovanni. «Qui le fanno una tac, da cui si evidenzia una protrusione alla colonna vertebrale — prosegue —. Ancora antinfiammatori e stavolta anche un collare. Ma la mattina dopo Valeria non parlava più e se lo faceva diceva cose senza senso».

L’infezione l’aveva ormai invasa e a poco è valsa l’intuizione della dottoressa del San Giovanni che è arrivata alla diagnosi corretta che, se fatta in modo tempestivo, avrebbe potuto salvare la vita alla giovane. «Tornati per l’ennesima volta in ospedale le hanno fatto un prelievo da far analizzare allo Spallanzani e si è scoperto che era meningite».

Il resto è accaduto velocemente e inesorabilmente. «Valeria è stata intubata e trasferita al Gemelli in terapia intensiva. La mattina seguente i medici ci hanno detto che per lei non c’era più niente da fare». Era troppo tardi. Due giorni fa è morta. Quel tempo perso tra una diagnosi errata e un’altra le è stato fatale. Se questa è la verità, potrà emergere dall’esame medico legale che verrà effettuato al Policlinico Umberto I.

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