“E se Putin fosse il migliore statista?” L’analisi controcorrente della crisi Ucraina vedi Franco Cardini, uno degli storici contemporanei più autorevoli in assoluto

ZAR PUTIN E LA SCACCHIERA DEL MONDO

Di Franco Cardini (francocardini.it)

ZAR PUTIN E LA SCACCHIERA DEL MONDO
Secondo l’antica numerologia sacra, l’8 è il numero perfetto che nasconde i segreti dell’Infinito. Otto lati avevano i battisteri, sacri edifici della vita e della rinascita. Otto volte 8 fa 64: la Perfezione della Perfezione. Sessantaquattro sono le caselle della tavola degli scacchi, il “Gioco dei Re” sul quale fior di shah persiani, di basileis bizantini, di califfi di Baghdad e di sultani d’Istanbul hanno imparato le regole-base della politica: e della guerra, che – diceva von Clausewitz – è continuazione della politica con altri mezzi.
Il maresciallo Stalin, da buon georgiano-osseta, era a quel che si dice un giocatore eccellente. Vladimir Vladimirovich, zar Putin, è forse migliore di lui. Sarebbe interessante assistere a una sua partita con un altro abile giocatore, Erdoğan.

Ma in fondo è quel che sta accadendo sotto i nostri occhi: perché la scacchiera è l’immagine del mondo, e gli scacchi sono il più elegante e geniale dei risiko.
Ricordate l’“Accordo di associazione” del 2014 tra l’Unione Europea e l’allora presidente ucraino Petro Poroshenko? In esso era previsto fra l’altro di “approfondire la cooperazione tra le parti nei campi della sicurezza e della difesa” e di “promuovere una graduale convergenza in materia di politica estera e sicurezza”.

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Come dire spostar l’Ucraina dall’area d’influenza russa e attrarla in quella europea: cioè occidentale e della NATO. L’Ucraina sarebbe fiorita di missili statunitensi di portata superiore ai 3000 chilometri e di relativi sistemi radar: Mosca sarebbe stata direttamente minacciata. Zar Putin intervenne, ci fu una breve guerra: poi gli “accordi di Minsk”, i quali ristabilirono un equilibrio che l’Ucraina di Zelensky ha cercato adesso di far saltare di nuovo. Se l’Ucraina fosse entrata nella NATO, addio appoggi navali russi sul Mar Nero, addio controllo dei corridoi energetici, addio distanza di sicurezza antimissile. Sarebbe stata accettabile per Mosca una situazione del genere, col pretesto del “diritto di ciascun popolo a scegliersi i propri alleati”?
Tutto ciò resta valido ancor oggi: e spiega il comportamento di Vladimir Vladimirovich il quale non è né un pazzo, né un nuovo Hitler. Putin è semplicemente lo statista che, con grande abilità politica e diplomatica, è riuscito a riportare la Russia dall’abisso della distruzione dell’Unione Sovietica al livello di qualcosa di più di una “potenza regionale”, in grado di far sentire la sua influenza dal Baltico alla Mitteleuropa al Vicino Oriente, mentre ha portato il suo paese ad affacciarsi finalmente sul Mediterraneo – l’antico sogno di Pietro il Grande, di Caterina II, di Stalin! – e i suoi sempre più stretti rapporti con la Cina del Progetto One Belt, One Road lo mettono in condizione di esercitare anche un potere di mediazione fra tutte le potenze mondiali di oggi.
Eppure gli manca qualcosa. Gli manca quello che negli Anni Sessanta era stato anche il sogno di De Gaulle e che poi fu il miraggio di Gorbaciov. Gli manca la possibilità di “giocare di sponda” con un’Europa davvero libera, indipendente, equidistante dai blocchi e in grado di badare sul serio all’interesse proprio e non altrui. Un’Europa che non abbia le mani legate dalla pastoia NATO che la obbliga nella sostanza ad obbedire a Washington.
Ma l’Europa preferisce l’unanimismo occidentale, opta per il blocco assieme agli Stati Uniti: non ha alcuna voglia di rischiare guerre di sorta – questo mai!, si ripete – ma si adatta alla politica del ricatto attraverso le sanzioni e lascia che sia quel portento di energia, di lungimiranza e di chiarezza d’idee che è il presidente Biden a dettarle l’agenda dei “buoni” e dei “cattivi”.
E, se invece di essere il capobanda di uno “stato-canaglia”, Putin fosse il migliore statista di tutto il macrocontinente eurasiatico?

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