“Dopo la fine di Prigozhin Putin è ancora più forte” Alessandro Orsini spiega con i fatti che nelle settimane dopo il golpe in occidente hanno solo sparato le idiozie che sussurrava la propaganda del Pentagono

Dopo la fine di Prigozhin Putin è ancora più forte

di Alessandro Orsini da Telegram

La morte di Prigozhin dimostra quattro fatti. Il primo è che la rivolta del capo Wagner ha rafforzato il regime di Putin anziché indebolirlo, come avevamo previsto su queste colonne il giorno dopo il tentato golpe militare. Non ci sono elementi per affermare che il regime di Putin sia sfaldato o che la Russia sia un coacervo di centri di potere pronti a esplodere alla minima occasione. Quell’occasione si è presentata con i risultati noti. Il popolo non è sceso in piazza per rovesciare Putin, né i suoi generali hanno cercato di assassinarlo nel palazzo di governo. Persino la Cecenia si è compattata intorno al presidente russo.

Il secondo fatto è che la catena di comando è salda. Se è vero che il Cremlino ha ordinato di abbattere l’aereo, allora nemmeno una persona si è frapposta nella verticale di potere per avvisare i passeggeri. La catena di comando è talmente salda che un ordine di Putin equivale a una digitopressione su un bottone. Putin era stato informato in anticipo della ribellione di Prigozhin; Prigozhin, invece, non ha trovato informatori. Che la catena di comando fosse salda era parso evidente anche nella ribellione. I media dominanti in Italia avevano prefigurato un cedimento dell’esercito russo che ha continuato a combattere compatto. Il fatto che la catena di comando sia salda è della massima importanza per il futuro della guerra giacché l’eventuale ordine di usare le armi nucleari rischia di non trovare oppositori o sabotatori. La frase con cui Biden ha commentato la morte di Prigozhin dimostra che il presidente americano conosce la saldezza della catena di comando russa: “Non c’è molto che accada in Russia dietro cui non ci sia Putin”. Max Boot, tra le principali firme del Washington Post, ha commentato la caduta dell’aereo in modo analogo: “Putin è più forte che mai”. Mi limito a notare che, almeno finora, le rivolte politico-sociali più gravi sono avvenute nelle cosiddette società libere e non in Russia. Mi riferisco alla rivolta di Capitol Hill negli Stati Uniti del 6 gennaio 2021 e a quella contro Macron in Francia quest’estate.

Il terzo fatto è che i media dominanti in Italia continuano a non capire la Russia. Le tipiche “previsioni” all’italiana non sono altro che la proiezione di desideri infantili. Siccome Putin non piace a chi gestisce l’informazione, allora la Russia andrà in bancarotta, sarà sconfitta a Bakhmut, i soldati si ammutineranno, i missili sono finiti, Putin sarà rovesciato e la controffensiva di Zelensky sarà un successo strabiliante. Accade sempre il contrario e chi induce alla ragione è “putiniano”. Mancano soltanto le boccacce, anzi, ci sono pure quelle.

Il quarto fatto discende dal terzo ed è il più grave per gli interessi nazionali dell’Italia, la cui classe dirigente continua a non capire la piega gravissima che la guerra sta prendendo. Zelensky non potrà resistere a lungo senza mobilitare almeno altri 200000 soldati. Il che causerà un’altra mobilitazione della Russia che aggiungerà altrettanti soldati. Procedendo di escalation in escalation, il rischio è che la Russia dichiari guerra all’Ucraina e decreti la mobilitazione generale. Siccome la regolarità empirica che abbiamo enunciato all’inizio della guerra non soffrirà eccezioni, accadrà che: “Per ogni proiettile della Nato che l’Ucraina lancerà contro la Russia, la Russia lancerà dieci proiettili contro l’Ucraina”. Ne consegue che l’arrivo degli F-16 renderà la guerra molto più tragica di oggi. In questa situazione, tutto ciò che il governo Meloni e il PD riescono a produrre è il solito gargarismo: “C’è un aggressore e un aggredito”. Noi ce lo auguriamo giacché l’aggredito rischia di sparire.

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