Tre vere lauree contro lo zero di Crosetto e Meloni, un curriculum da paura e quelle sue denunce sull’uranio impoverito sempre insabbiate e censurate dagli alti papaveri. Il curriculum da applausi del generale Vannacci

Il generale Roberto Vannacci, una carriera impressionante, le opinioni contro il politically correct e il pensiero unico, “destituito” dal Ministro Corsetto a seguito della pubblicazione del libro “Il mondo al contrario”, un mondo che, a modesto avviso di molti, a giudicarlo in modo analitico appare ben più che al contrario.

TRATTO DA IL GIORNALE D’ITALIA

Vannacci già comandante della Task Force 45 durante la Guerra in Afghanistan, ha ricoperto i ruoli di comandante del 9º Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin“, una delle più blasonate forze speciali italiane, al pari degli Incursori di Marina, eredi della X Mas (Decima, per chi dovesse pensare al Natale), comandante della Brigata Paracadutisti “Folgore” e comandante del contingente italiano nella Guerra civile in Iraq (per chi ha la memoria corta, giova ricordare la fake news dell’Antrace raccontata alle Nazioni Unite da Colin Powell e da Bush per giustificare l’invasione USA).

Roberto Vannacci, la formazione accademica e le forze speciali

Vannacci frequenta il 168º Corso “Fedeltà” dell’Accademia Militare di Modena e, dopo la Scuola di applicazione di Torino, passa le selezioni per accedere all’unità di incursori dell’Esercito Italiano, il 9º Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin”, dove completa il corso di formazione e consegue il brevetto di incursore (corso 80/B).
Con il grado di tenente assume il comando del Distaccamento incursori e partecipa alla Missione Ibis in Somalia (1992-1994), successivamente comanda una Compagnia incursori e, dal 2004 al 2006, assume il comando del Battaglione incursori. Ha inoltre prestato servizio, nel biennio 1999-2000, come addetto alle Forze speciali presso l’Ufficio Operazioni del Comando delle forze operative terrestri e come “Chief Special Forces” presso l’Allied Rapid Reactions Corps (ARRC) di Solbiate Olona.

Le missioni all’estero, dall’Afghanistan alla Somalia, Rwanda e Yemen

Nel 2004, Vannacci viene distaccato presso il neo costituito Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali a Roma, dove ricopre tutti gli incarichi operativi e di staff, tra cui quello di capo ufficio Operazioni, sottocapo di stato maggiore operativo e vice comandante/capo di stato maggiore. In tali ruoli, oltre che promuovere e gestire tutte le operazioni speciali nazionali, Vannacci redige la prima Dottrina Interforze per la componente Operazioni speciali italiana.
Sempre nello stesso anno, Vannacci ha un ruolo di comando nell’aliquota di incursori impegnati nell’evacuazione dei connazionali dalla Costa d’Avorio. Terminato l’incarico al COFS, nel 2009, viene inviato in Afghanistan come assistente militare del capo di stato maggiore della International Security Assistance Force (ISAF), il generale Marco Bertolini, primo ufficiale italiano a ricoprire tale incarico. In tale ruolo Vannacci ha occasione di collaborare anche con il comandante dell’ISAF generale Stanley McChrystal.
Sempre al comando di unità di Forze speciali, Vannacci ha partecipato a numerose operazioni militari. Da comandante di distaccamento operativo incursori prende parte alle operazioni in SomaliaRwanda e Yemen. In particolare, durante la missione in Somalia, ha partecipato a operazioni speciali (denominate “Hillac”) finalizzate al sequestro dei depositi di armi e alla neutralizzazione dei miliziani di Mohammed Farah Aidid, noto come signore della guerra somalo.
Nel 1994 Vannacci comanda uno dei due distaccamenti incursori incaricati di evacuare i civili italiani (e non solo) dal Rwanda, sconvolto dalla guerra civile (Operazione Ippocampo).
È stato impiegato in Bosnia Erzegovina nella zona di Pale, sede del Parlamento della Republika Srpska e ancora dimora di Radovan Karadžić, in qualità di comandante di Compagnia incursori. Nel 2000, inoltre, ritorna in Bosnia, a Mostar, dove nell’ambito della Divisione Francese “Salamandre” è tra i responsabili delle operazioni psicologiche del contingente.
Da maggiore e tenente colonnello, ha condotto operazioni speciali in Iraq e in Afghanistan. Nel dettaglio, Vannacci ha comandato per due turnazioni (2005-2006) lo Special Forces Task Group in Iraq ed è stato il primo comandante della Task Force 45 in Afghanistan, schierata a Herat e Farah e con la stessa ha preso parte a numerose azioni cinetiche contro gli insorti nei distretti di Farah, Bakwa, Bala Baluk, Delaram e Shindand.
Gli incursori della Task Force 45, impiegati nell’individuazione e neutralizzazione dei gruppi di miliziani ostili hanno condotto operazioni mirate, finalizzate a limitare eventuali danni collaterali.

L’impegno durante la “Primavera Araba”

Nel 2011, durante la Primavera Araba, Vannacci opera in Libia quale Comandante di Nucleo Avanzato del Comando Interforze delle operazioni delle Forze speciali (COFS), svolgendo attività di supporto alle autorità diplomatiche italiane. Sotto tale incarico ha organizzato e portato a termine l’evacuazione d’emergenza della sede diplomatica di Tripoli e dei cittadini italiani ancora rimasti nelle vicinanze della capitale. Tornato in Afghanistan, nel 2013, poco prima della transizione da ISAF a Resolute Support Mission (Operazione Sostegno Risoluto), Vannacci assume l’incarico di capo di stato maggiore delle Forze speciali della NATO (ISAF SOF HQ): si impegna nell’organizzazione dell’articolato Comando e nell’approvazione delle delicate operazioni che hanno visto il coinvolgimento di tutte le Forze speciali dell’Alleanza Atlantica.
In riconoscimento dei risultati conseguiti, Vannacci è stato decorato dalle autorità statunitensi della Bronze Star Medal.
Dal 2011 al 2013, Vannacci comanda il 9º Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin” .
In seguito, dal 2014 al 2016, ha assunto l’incarico di capo ufficio relazioni internazionali presso il III Reparto dello Stato Maggiore della Difesa, dove ha consolidato la rete di cooperazione internazionale militare tra l’Italia e le nazioni alleate e amiche. Nel 2016, promosso generale di Brigata, Vannacci assume il comando della Brigata Paracadutisti “Folgore“. Durante tale incarico, ha aggiornato tutte le procedure tecnico-tattiche-aviolancistiche della grande unità.
Nel 2017, in Iraq, Vannacci ha assunto il comando del Contingente nazionale terrestre dell’operazione Prima Parthica nonché del Deputy Commanding General for Training della Coalizione anti ISIS nell’ambito dell’Operation Inherent Resolve. In tali ruoli è stato responsabile dell’addestramento e dell’equipaggiamento delle forze irachene impegnate nell’annichilimento militare dello stato islamico e nelle attività di contro-insurrezione e di controllo del territorio.
Successivamente, dal 2018, ha assunto l’incarico di capo di stato maggiore della Divisione “Vittorio Veneto“. Dal gennaio 2020 ricopre l’incarico di addetto per la Difesa alla rappresentanza diplomatica italiana a Mosca, con accreditamenti in BielorussiaArmenia e Turkmenistan. Sotto tale profilo gestisce il periodo caratterizzato dall’inasprirsi dei rapporti tra l’Italia e la Federazione Russa, a causa dell’invasione russa dell’Ucraina.
Dichiarato “persona non grata” dalle autorità russe, come rappresaglia per le espulsioni decise dal Ministro degli esteri italiano a seguito delle vicende belliche tra Russia e Ucraina, conclude l’incarico nel settembre del 2022.

Gli studi e le tre lauree magistrali

Vannacci ha tre lauree di livello magistrale: in Scienze Strategiche (conseguita presso l’Università degli Studi di Torino), in Scienze Internazionali e Diplomatiche (presso l’Università di Trieste) e in Scienze Militari (presso l’Università di Bucarest). Ha conseguito, inoltre, il Master universitario di II livello in Scienze Strategiche presso l’Università di Torino e il Master di II livello in Studi Internazionali Strategico-Militari in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano e l’Università LUISS di Roma.
Nel 2019 è stato premiato dall’Unione Nazionale Veterani dello Sport (UNVS) con il premio per le Missioni di pace .
Nell’agosto 2023, ha pubblicato il libro “Il Mondo al Contrario”, che ha suscitato numerose polemiche a causa dei suoi contenuti ritenuti omofobi e sessisti. Come conseguenza di tale affaire, Vannacci perde il comando dell’Istituto Geografico Militare di Firenze, appena assunto il 21 giugno 2023, già il 18 agosto dello stesso anno.

Sulla questione dell’uranio impoverito Vannacci, è stato al centro di un acceso dibattito in merito all’esposizione dei militari italiani ai rischi dell’uranio impoverito e dei metalli pesanti in zona d’operazione. Sulla base di quanto riportato da alcune testate giornalistiche, fra le quali la trasmissione “Sono le venti” di Peter Gomez durante il comando della missione Prima Parthica in Iraq (2017-2018), il generale Vannacci ha presentato due esposti alla Procura militare e alla Procura ordinaria di Roma denunciando gravi e ripetute omissioni nella tutela della salute del contingente italiano. Sulla vicenda, il tenente colonnello incursore (Aus.) Fabio Filomeni ha pubblicato un libro dal titolo “Baghdad, Ribellione di un Generale” che ripercorre gli avvenimenti vissuti in prima persona durante la missione in Iraq in qualità di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione del contingente.
Il generale Vannacci, nominato datore di lavoro negli ultimi mesi del suo comando in Iraq ha denunciato il pericolo di esposizione alle particelle di uranio impoverito all’interno del suo Documento di valutazione dei rischi (DVR) smentendo, de facto, i vertici del Ministero della Difesa che, per anni, hanno sostenuto l’inesistenza di tale minaccia per la salute.

Il mondo al contrario, i passaggi contestati del libro di Vannacci

La mia società, quella in cui sono nato ed ho vissuto e per la quale ha combattuto mio nonno – classe 1898, che arruolandosi a 16 anni si è fatto la prima, la seconda guerra mondiale e la guerra di Spagna – tutto sommato mi piace. Sicuramente si può migliorare ma è meglio di molte altre.
Mi piacciono le libertà individuali, lo stato di diritto, la libertà di espressione, l’idea di  poter avere successo basandosi sulle proprie capacità, l’uguaglianza di fronte alla giustizia, il benessere che ci siamo conquistati ed il progresso a cui siamo stati capaci di giungere. Mi piace la mia cucina, i cantautori nazionali, l’odore del pane fresco al mattino e le campane che suonano la domenica. Le altre culture le rispetto, non le voglio cambiare, a volte le apprezzo e ne so valorizzare alcuni tratti piacevoli e positivi ma non le sostituirei alla mia. E non voglio che nessuno ci provi con la mia. La mia cultura, la considero un dono che i nostri avi ci hanno tramandato con cura e che dobbiamo custodire gelosamente. Sì, perché forse ingenuamente ed illudendomi un po’, ritengo che nelle mie vene scorra una goccia del sangue di Enea, di Romolo, di Giulio Cesare, di Dante, di Fibonacci, di Giovanni dalle Bande Nere e di Lorenzo de Medici, di Leonardo da Vinci, di Michelangelo e di Galileo, di Paolo Ruffini, di Mazzini e di Garibaldi. E non vi dovete stupire se sono andato così lontano nel tempo. Da adolescente, infatti, leggendo un libro su Annibale ho avuto un’incredibile rivelazione: l’autore, il bravissimo Gianni Granzotto, sosteneva infatti che “sessanta nonni ci dividono oggi da Annibale. Sessanta nonni soltanto. Potrebbero stare tutti in quella stanza della memoria, cucitrice del tempo”. E proprio questo bellissimo esempio mi consente di evidenziare che la cultura di una popolazione ed il tempo a cui fa riferimento sono parametri intimamente legati tra loro. È vero che la cultura è un prodotto storico, è in costante divenire e si arricchisce giorno per giorno mutando ma è anche vero che questi infinitesimali correttivi dell’ultima ora hanno un impatto insignificante su ciò che si è cristallizzato in 5000 anni di storia. Se lo dovrebbero stampare bene nella mente i fanatici della “cancel culture” che vorrebbero tirare un colpo di spugna su storia e tradizioni millenarie. Anche se abbiamo seconde generazioni di Italiani dagli occhi a mandorla, il riso alla cantonese e gli involtini primavera non fanno parte della cucina e della tradizione nazionale; anche se Paola Egonu è italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità che si può invece scorgere in tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli etruschi sono giunti ai giorni nostri; anche se vi sono portatori di passaporto italiano che pregano nelle moschee, ciò non cancella 2000 anni di cristianità. La società cambia, e così la cultura, ma ogni popolazione ha il sacrosanto diritto, ed anche il dovere, di proteggere le proprie origini e le proprie tradizioni da derive e da tangenti che le snaturerebbero. Sono ormai più di cinquant’anni che abbiamo McDonald’s in Italia e che milioni di italiani si cibano dei suoi prodotti, ma nessuno si azzarda a dichiarare che i panini con hamburger e ketch-up facciano parte della cucina tricolore. E fa benissimo Vissani, o qualunque altro virtuoso della culinaria, ad insorgere quando si vorrebbero applicare delle arbitrarie ed esotiche varianti ad una delle grandi espressioni dell’arte nazionale. Analogamente, per quanto crescano le percentuali di stranieri o di cittadini italiani “acquisiti”, fare il distinguo su ciò che appartiene alla cultura nazionale e ciò che è importato è indice di tutela di un patrimonio culturale vecchio di millenni e non di inutile sciovinismo o di xenofobia.

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  1. E allora dai, candidato alle prossime europee… Almeno ricomincio a votare dopo 20 anni. Ma con chi? Di fianco al simbolo il nome è sempre lo stesso: Pdl partito dei ladri. Lascia perdere vala’. Lasciali marcire sti rozlamerda, loro, la nato, i crucchi e gli americani (non è un’offesa ai cani), il clero dei pedofili è tutta quella mandria di italioti sierati che non vedono l’ora di farsi anche il prossimo.

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