Lo strappo di Calenda ha l’unico risultato di regalare altri seggi alla feccia degli ex Cinquestelle che ha seguito Gigino Di Maio

Era il 18 luglio del 2019, c’era il governo gialloverde e Luigi Di Maio era ministro del Lavoro. Da quel giorno alla crisi del Papeete innescata da Matteo Salvini, che avrebbe fatto cadere il Conte 1, mancavano meno di tre settimane. Ma le tensioni tra le forze di maggioranza, e cioè tra Lega e Movimento 5 stelle, erano alle stelle. Il Carroccio, in particolare, stava accusando il M5s di avvicinarsi, su alcuni temi, al Partito democratico. E così, in un videomessaggio, l’allora vicepresidente del Consiglio respingeva quelle che per lui erano “accuse false e infondate”. E lo faceva attaccando a sua volta il Pd. “Io col partito di Bibbiano non voglio averci nulla a che fare“, diceva, tirando in ballo l’inchiesta ‘Angeli e demoni’. “Col partito che in Emilia toglieva i bambini alle famiglie con l’elettroshock per venderseli, io non voglio avere nulla a che fare”.

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Da quell’estate, Di Maio ha sostenuto due governi col Pd, col ruolo, prestigioso, di ministro degli Esteri. Due governi variopinti, nati con l’intenzione di non far cadere l’Italia in una crisi economica (il primo) e per fronteggiare la recrudescenza del Covid e, ancora, lo spettro di una nuova recessione (il secondo). In quest’ultimo caso, con l’esecutivo guidato da Mario Draghi, si trattava di un governo “di unità nazionale”. Discorso del tutto differente, invece, va fatto per ciò che è successo in queste ore. A pochi giorni dalla nascita di Impegno civico, dopo aver abbandonato il M5s, Luigi Di Maio non solo ha stretto un’alleanza elettorale col Partito democratico – e, dunque, prima del voto – ma ha accettato (o cercato) quello che Enrico Letta ha elegantemente definito “diritto di tribuna”. Tradotto in altre parole: l’assegnazione di un posto blindato nei collegi per avere la certezza di essere rieletto in Parlamento. E così arriviamo a ieri: Di Maio al Nazareno, nella sede del Pd, che stringe le mani a Lette e a Bruno Tabacci, con alle spalle, che campeggia a caratteri cubitali, il logo dei dem. “Oggi sigliamo un’importante intesa – ha detto – posso dirvi che siamo convinti di questa alleanza nel segno dell’agenda Draghi”.

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