Elsa Fornero vuole espropriare gli italiani! L’allucinante editoriale pubblicato dal giornale dei peggiori evasori totali della storia italiana

La professoressa Elsa Fornero propone su La Stampa di introdurre un’imposta patrimoniale e precisa che l’imposta andrebbe messa “sul patrimonio immobiliare, visto che quello finanziario giĆ  ne ĆØ gravato”. E’ sconcertante. La professoressa Fornero era Ministro nel Governo che nel 2011 ha istituito la piĆ¹ pesante patrimoniale sugli immobili della storia d’Italia (per sua informazione, si chiama IMU). E la notizia – sempre per la professoressa, non per chi la paga da dodici anni – ĆØ che quella patrimoniale nessuno l’ha poi eliminata, gravando ancora per 22 miliardi di euro l’anno.

Editoriale della parassita Fornero per La Stampa (Quotidiano degli eredi Agnelli detentori di un patrimonio miliardario all’estero da almeno tre generazioni)

Una patrimoniale per la crescita. Tolleranza zero contro gli evasori
Il Paese ĆØ in difficoltĆ  economica sul fronte della finanza pubblica e crescono le iniquitĆ . Lā€™assenza di crescita e le crisi non hanno impedito a pochi di accumulare ricchezza.

In un recente intervento televisivo in cui Romano Prodi era ospite principale, ho sostenuto lā€™opportunitĆ  dellā€™introduzione di unā€™imposta patrimoniale. La risposta bonaria ma anche ironica di Prodi ĆØ stata che Ā«con le imposte si perdono le elezioniĀ»; unā€™obiezione, quindi, non tanto sulla sostanza bensƬ sul rischio di pagare un prezzo elettorale. Forse ĆØ vero, eppureā€¦ Eppure, ci possono essere molte buone ragioni per le quali il nostro Paese potrebbe considerare unā€™imposta patrimoniale (in realtĆ  sul patrimonio immobiliare, visto che quello finanziario giĆ  ne ĆØ gravato), e infatti molti Paesi europei ce lā€™hanno. Le ragioni alla base, spesso abbinate, sono principalmente due: serie difficoltĆ  nella finanza pubblica e gravi iniquitĆ  sociali. E se queste buone ragioni possono essere comprese dagli esperti e magari dai politici che lā€™avversano soprattutto per lā€™impopolaritĆ , perchĆ© non dovrebbero comprenderle anche i cittadini? Non ĆØ detto, infatti, che tutto ciĆ² che ĆØ considerato sgradito ma necessario o utile per la collettivitĆ  non possa essere compreso e persino condiviso dalla cittadinanza, o almeno da una parte rilevante di essa, invece di essere soltanto osteggiato.

Le difficoltĆ  finanziarie di un Paese nascono dalla compresenza di un debito pubblico elevato (in rapporto al Pil), che occorre rifinanziare, nel frattempo sostenendo gli interessi, oppure rimborsare, trovando perciĆ² le risorse necessarie alla sua (graduale) estinzione; una bassa crescita economica; un disavanzo di bilancio strutturale, risultante da entrate fiscali stabilmente inferiori alla spesa; un tasso di interesse piĆ¹ alto del tasso di crescita dellā€™economia. Un debito pubblico elevato deriva da anni in cui i governi in carica, anzichĆ© tassare i cittadini per i benefici loro forniti, rinviano al futuro, e perciĆ² alle generazioni giovani e a quelle che seguiranno, parte delle imposte che servono a finanziare la spesa pubblica corrente (scuola, sanitĆ , sicurezza, welfare, per non parlare di bonus e superbonus). PerciĆ² lā€™aumento del debito non equivale a una rinuncia ad aumentare lā€™imposizione fiscale in misura tendenzialmente corrispondente allā€™aumento della spesa bensƬ soltanto a un suo posticipo nel tempo, quando magari a doverlo esigere saranno altri governanti. E allora alcune domande nascono spontanee. PerchĆ© i giovani dovrebbero accollarsi un debito contratto essenzialmente per mantenere il tenore di vita (e talvolta i privilegi) delle generazioni che le hanno precedute? Una domanda che, nel caso dellā€™Italia, trova parziale ma triste risposta nella crescente emigrazione di giovani italiani a cui il grande debito pubblico (una volta e mezza il Pil di un anno) non sembra avere portato molti vantaggi, in termini di opportunitĆ  e di crescita (per la quale siamo in fondo alla graduatoria europea da circa un quarto di secolo!). Possibile che gli elettori non si accorgano di questo trasferimento di oneri sui loro figli e nipoti, e se sƬ effettivamente lo vogliano? Non sarebbe allora il caso, per i politici (ma qui ci vorrebbero ā€œstatistiā€), di essere trasparenti su questo punto?

Purtroppo, e ciĆ² accade soprattutto con governi ā€œpopulistiā€, la politica manifesta unā€™intrinseca tendenza al deficit, talvolta fino a portare la finanza pubblica (vicino) al punto di rottura. Forse anche perchĆ© dimentica della distinzione draghiana tra debito ā€œbuonoā€ (quello per investimenti in capitale fisico e umano che, aumentando la capacitĆ  produttiva, non costituiscono un onere netto per le generazioni future) e debito ā€œcattivoā€ (che tende invece a finanziare i consumi, lasciando poco o nulla di positivo per il futuro, anzi spesso depauperandolo).

Rinnovare il debito a scadenza diventa allora sempre piĆ¹ oneroso perchĆ© il tasso di interesse sale, incorporando il rischio di un parziale ripudio. Prima che la situazione precipiti intervengono allora vincoli europei, che forzano il Paese a quelle operazioni di riduzione della spesa e/o aumento della tassazione a lungo ostinatamente rifiutate per paura di perdere consenso.

Si dirĆ : che cosa ha a che fare tutto questo con la patrimoniale?

Obiezione corretta, che va nella direzione della tolleranza zero nei confronti dellā€™evasione fiscale, piuttosto che in atteggiamenti di aperta indulgenza, se non implicito incoraggiamento (le imposte come Ā«pizzo di statoĀ» della presidente Meloni); ma obiezione che non previene il ricorso alla patrimoniale in un contesto di riordino complessivo del fisco. E qui interviene la seconda importante considerazione a suo supporto: la crescente diseguaglianza, che ĆØ manifesta nei redditi, ma ancor piĆ¹ nei patrimoni. Lā€™assenza di crescita e una impressionante serie di shock negli ultimi decenni non hanno impedito che, mentre la povertĆ  si estendeva, una parte molto minoritaria del paese aumentasse la propria quota di ricchezza. Unā€™indagine recente di Banca dā€™Italia mostra come il 5 per cento piĆ¹ ricco del Paese detenga circa il 47 per cento della ricchezza complessiva mentre il 50 per cento piĆ¹ povero abbia soltanto lā€™8 per cento. Per quanto distorte dalle attivitĆ  in nero (che comunque non sono certo un vanto del Paese), queste cifre sono assai preoccupanti.

Allā€™imposta patrimoniale si obiettano varie argomentazioni. Anzitutto, la non fattibilitĆ  (anche per mancanza di un aggiornamento catastale, sempre rinviato, come quello delle spiagge balneabili). Si potrebbe perĆ² stabilire un imponibile minimo piuttosto elevato o limitare lā€™imposta al momento della trasmissione ereditaria, cosƬ come la si potrebbe usare per alleggerire lā€™imposizione sul reddito da lavoro o evitare un aumento netto della pressione fiscale. Altri dicono, come Meloni nella conferenza di inizio anno, Ā«si tagli piuttosto la spesa pubblicaĀ», come se non fosse politicamente altrettanto difficile.

PiĆ¹ ideologiche sono altre obiezioni, come chi vi vede un attacco alla sacralitĆ  della casa, facendo di questā€™ultima un totem, simile a quello dellā€™articolo 18, il quale pure ĆØ stato abrogato; o una ā€œpunizioneā€ del risparmio (rifacendosi a Einaudi che la definƬ Ā«un premio agli scialacquatoriĀ» ma che pure fu, a dimostrazione della sua onestĆ  intellettuale, fautore di unā€™imposta patrimoniale straordinaria, come occasione per rinnovare e semplificare strutturalmente il fisco). In fondo, perĆ², per la destra ĆØ una misura di sinistra e per la sinistra (riformista) una misura che fa perdere le elezioni. Ne usciremo mai?

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