di Ugo Magri per La Stampa
ROMA. «La sola cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa», ci rincuora Sergio Mattarella citando un grande presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt. E sempre a proposito di angosce collettive cui non bisognerebbe piegarsi, sottoscrive in pieno quanto affermava un suo antico predecessore, Luigi Einaudi: guai a esasperare gli stati d’animo del momento. In particolare, ci sono due comportamenti che andrebbero assolutamente evitati.
Il primo consiste nella denuncia ossessiva di certi problemi, come se questi «possano risolversi da sé».
L’altro errore da non commettere sta nella «tentazione cinica» di cavalcare le ansie della gente artificiosamente provocate. Il presidente evita di pronunciare la parola «immigrazione», ma nella platea di Confindustria alla quale si è rivolto nessuno ha avuto dubbi al riguardo; è sotto gli occhi di tutti la tentazione di trasformare questo dramma epocale in terreno di scontro politico, magari in vista delle prossime elezioni europee, trasformandolo in cavallo di battaglia propagandistico anziché cercare soluzioni serie e durevoli, come ci si aspetterebbe.
Mattarella, come d’abitudine, è rimasto ben dentro i confini del proprio ruolo. Si è tenuto aderente al dettato della Costituzione della quale ha citato ben sei articoli a proposito delle attività d’impresa, sulla sua rilevanza, sui suoi doveri sociali. Ma non poteva mancare qualche invito alla riflessione che riguarda direttamente la politica, rappresentata in sala al massimo livello con la premier Giorgia Meloni. Ad esempio il presidente ha segnalato lo stretto legame che corre tra la democrazia ed l’economia di mercato. Le concentrazioni di potere economico delle multinazionali arroganti fanno male alle istituzioni democratiche; ma nello stesso tempo andrebbero evitate le tentazioni del «dirigismo» e del «protezionismo» in quanto atteggiamenti tipici delle dittature. E pure in questo caso, gli esempi sotto gli occhi non mancano, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
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