Matteo Messina Denaro, arrestata solo adesso, un mese dopo il boss, la sorella Rosalia. A casa sua scoperto il pizzino che ha portato alla cattura del superlatitante

Rosalia detta Rosetta, la maggiore delle quattro sorelle di Messina Denaro, è madre di Lorenza Guttadauro, avvocato che, dal giorno del suo arresto, assiste il capomafia, e moglie di Filippo Guttadauro che ha scontato 14 anni per associazione mafiosa ed è tuttora in carcere al cosiddetto ‘ergastolo bianco.

È dal giorno dell’arresto del boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, ormai ex primula rossa, che gli investigatori del Ros hanno cominciato a stringere la rete di chi nel corso di 30 anni ha reso possibile all’ultimo stragista di essere un latitante a casa sua. Oggi i carabinieri hanno arrestato, con l’accusa di associazione mafiosa, una delle persone più vicine non solo per il vincolo di sangue che lo lega a lei: sua sorella Rosalia. L’inchiesta è stata coordinata dalla Procura di Palermo, con il procuratore Maurizio de Lucia e l’aggiunto Paolo Guido, ed è il naturale seguito di tutte le indagini che erano già avviate sul boss da anni e proseguite un minuto dopo aver rintracciato in quella clinica di Palermo, il 16 gennaio scorso, il padrino che sotto falso nome andava a curarsi.

Secondo gli inquirenti, la donna avrebbe aiutato per anni il fratello a sottrarsi alla cattura e avrebbe gestito per suo conto la “cassa” della “famiglia” e la rete di trasmissione dei ‘pizzini’, consentendo così al capomafia di mantenere i rapporti con i suoi uomini durante la sua lunga latitanza. Uomini che sono stati arrestati o nel corso del tempo oppure come nel caso di Andrea Bonafede, colui che gli ha prestato l’identità, o Alfonso Tamburello, il medico che lo seguiva e nel corso del tempo gli ha firmato centinaia di prescrizioni e che ora dice di non averlo conosciuto, subito dopo la sua cattura. È stato proprio un appunto dettagliato sulle condizioni di salute di Matteo Messina Denaro, scritto dalla sorella Rosalia e da lei nascosto nell’intercapedine di una sedia, a dare agli investigatori l’input che ha portato, il 16 gennaio scorso, all’arresto del capomafia. Lo scritto è stato scoperto dai carabinieri del Ros il 6 dicembre scorso mentre piazzavano delle cimici nella abitazione della donna. L’operazione che ha portato all’arresto di Rosalia Messina Denaro è stata condotta dal Ros, dai carabinieri del Comando provinciale di Trapani e dello squadrone eliportato dei Cacciatori di Sicilia. La misura cautelare è stata disposta dal giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto. Sono in corso decine di perquisizioni in provincia di Trapani.

Rosalia detta Rosetta, la maggiore delle quattro sorelle di Messina Denaro, è madre di Lorenza Guttadauro, avvocato che, dal giorno del suo arresto, assiste il capomafia, e moglie di Filippo Guttadauro che ha scontato 14 anni per associazione mafiosa ed è tuttora in carcere al cosiddetto ‘ergastolo bianco’. Il secondo figlio della donna, Francesco, nipote prediletto del padrino trapanese, sta espiando una condanna a 16 anni sempre per associazione mafiosa. Pur se sepolti dagli ergastoli e da centinaia di anni di carcere, indagati da sempre e per questo costretti a una maniacale cautela, non hanno mai abiurato la “fede” mafiosa. Una Dinasty criminale quella dei Messina Denaro, storica famiglia mafiosa di Castelvetrano che oggi con l’arresto di Rosalia, sorella dell’ex latitante Matteo perde un altro pezzo. In principio fu don Ciccio, boss indiscusso del mandamento, morto in latitanza. Il suo corpo, pronto per la sepoltura, fu trovato il 30 novembre del 1998 per strada dopo una chiamata anonima alla polizia. Don Ciccio aveva quattro figlie femmine e due maschi. Dei maschi, l’erede designato al vertice della famiglia, Matteo, è stato catturato il 16 gennaio dopo una caccia lunga 30 anni. L’altro, Salvatore, il primogenito, scarcerato nel 2006 dopo avere scontato una condanna per mafia, è stato riarrestato con le stesse accuse nel 2010. Non è andata meglio alle figlie femmine e al resto della famiglia: sono in carcere Patrizia, condannata in via definitiva a 16 anni per associazione mafiosa e il marito Vincenzo Panicola; è morto in cella Rosario Allegra, marito di Giovanna ed è detenuto al 41 bis Gaspare Como, marito di Bice. Oggi è toccato a Rosalia.

Come tutti gli storici latitanti mafiosi, costretti a trovare il modo per comunicare nonostante la latitanza, anche se di lusso come nel caso di Matteo Messina Denaro, anche lo stesso padrino di Castelvetrano doveva usare i pizzini. E Rosetta era una custode nonché collettrice dei biglietti del fratello. Sono decine i biglietti scoperti dopo l’arresto dell’ex latitante. Messaggi arrotolati, sigillati con il nastro adesivo, spesso avvolti in piccoli pacchetti, e indirizzati a destinatari indicati con nomi in codice di “Fragolone (soprannome della sorella Rosalia ndr), Fragolina, Condor, Ciliegia, Reparto, Parmigiano, Malato, Complicato, Mela”. I pizzini venivano trasmessi attraverso una catena, più o meno lunga, di fedelissimi, che lo stesso boss, nei suoi scritti, definiva ‘tramiti’.

Nel sistema del latitante finora ancora più impenetrabile di quello degli altri capi, però, c’era una falla. Per anni Messina Denaro ha adottato mille cautele, prima fra tutte quella di non Iasciare traccia dei biglietti che venivano rigorosamente distrutti dopo la lettura. Stavolta però il boss è stato il primo a non osservare la regola “avendo la necessità di dialogare in termini più brevi e con minori precauzioni con i suoi familiari, – scrive il gip – e talvolta di conservare la posta, soprattutto quella in uscita, come promemoria delle innumerevoli faccende che gli venivano sottoposte”. Un errore che ha commesso anche la sorella Rosalia che, si legge nella misura cautelare, “ha colpevolmente evitato di distruggere alcuni dei pizzini ricevuti dal fratello o comunque, ne ha trascritto il contenuto su appunti manoscritti e occultati nella sua abitazione a Castelvetrano e nella sua casa di campagna a Contrada Strasatti di Campobello di Mazara”. Errori che hanno consentito ai carabinieri di acquisire “preziosissimi elementi probatori da cui potere documentare con certezza il ruolo di tramite e di fedele esecutrice degli ordini del latitante svolto dalla donna nel corso di diversi anni”.

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