Zelensky è caduto in disgrazia! Gli audio degli insulti ricevuti lo scorso giugno da Biden parlano chiaro: fatti conoscere in vista delle elezioni. Il popolo americano se ne fotte della guerra

Valerio Benedetti per “La Verità”

La guerra continua e, allo stato attuale, non è facile capire quanto ancora durerà, né se c’è davvero l’intenzione di sedersi al tavolo della pace. Troppi interessi sono in ballo, troppi attori con disparate esigenze: c’è chi vorrebbe un conflitto a oltranza per spossare la Russia; chi invece non trova una buona idea mettere Mosca all’angolo, rischiando così una recrudescenza dei combattimenti; chi, infine, non vede l’ora che tutto finisca al più presto per lasciarsi alle spalle questa lunga scia di distruzione e morte.

La situazione, insomma, è complessa. E parlare di Occidente, come fosse un fronte unico e granitico, falsa la prospettiva e offusca una giusta visione d’insieme. Quello che vuole la Francia non è quello che vuole la Germania, così come quello che spera l’Italia non è quello che auspica il Regno Unito. E, ovviamente, ciò che brama Kiev non è per forza ciò che desidera Washington.

A confermare l’esistenza di queste tensioni che spaccano il variegato fronte occidentale, arrivano ora alcune notizie riservate d’Oltreoceano. Secondo quanto riferiscono quattro fonti ben informate ma coperte da anonimato, lo scorso giugno ha avuto luogo una telefonata molto concitata tra Joe Biden e Volodymyr Zelensky.

Il presidente statunitense – raccontano le fonti – aveva appena annunciato un pacchetto di aiuti da 1 miliardo di dollari, ma il presidente ucraino, a quel punto, «ha iniziato a elencare la lista di altre necessità». In sostanza, prosegue la testimonianza, Biden «ha perso la pazienza». Il popolo americano «è stato piuttosto generoso e sta lavorando duro per aiutare Kiev», ha rivendicato il presidente degli Stati Uniti «alzando la voce».

Zelensky – questa l’accusa di Biden – avrebbe «dovuto mostrare maggiore gratitudine». Nonostante la telefonata carica di tensione – hanno assicurato fonti dell’amministrazione all’Nbc – da allora le relazioni tra i due capi di Stato «sono costantemente migliorate».

La chiosa finale, che ci parla di rapporti ora più distesi tra le due nazioni, non può certo bastare a diradare le nubi che si stagliano nel cielo del fronte occidentale. D’altra parte, non è la prima volta che tra Kiev e Washington sono volati gli stracci. E non sarà neanche l’ultima. In effetti, da quella telefonata, avvenuta a giugno, in almeno altri due casi gli statunitensi hanno mostrato insofferenza verso le fughe in avanti degli organi governativi e militari ucraini.

Una decisa divergenza di vedute si è potuta apprezzare a fine agosto, quando un attentato nella periferia di Mosca ha stroncato la vita di Darya Dugina, figlia del filosofo russo Aleksander Dugin, che probabilmente era il vero obiettivo dei sicari. La mossa non è affatto piaciuta ai servizi segreti americani, che a inizio ottobre hanno espresso tutta la propria stizza attraverso una soffiata affidata alle colonne del New York Times.

Gli 007 statunitensi, in sostanza, hanno accusato dell’attentato alcuni ambienti del governo di Kiev e ci hanno tenuto a rimarcare che Washington non ha fornito alcun supporto in quest’azione, né informativo né tanto meno logistico. Peggio ancora: gli agenti americani hanno riferito al New York Times di non essere stati messi a conoscenza dell’operazione; in caso fossero stati consultati, si sarebbero opposti.

I motivi dell’insofferenza dell’intelligence americana sono abbastanza intuibili. Non è un caso che anche papa Francesco, a poche ore dall’assassinio di Darya Dugina, abbia condannato le crudeltà di questa guerra e la strage di innocenti che essa comporta: «Penso a quella povera ragazza volata in aria per una bomba che era sotto il sedile della macchina a Mosca», aveva detto il pontefice.

Parole pronunciate non certo a cuor leggero. E infatti il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba ,non esitò a convocare il nunzio apostolico, monsignor Visvaldas Kulbokas ,per chiedere spiegazioni. Nel mese di ottobre, inoltre, un secondo caso ha contribuito a rendere sempre più tesi i rapporti tra Kiev e Washington: l’esplosione del ponte di Kerch.

Com’ è noto, in un primo momento l’Ucraina aveva rivendicato l’azione, salvo poi ritrattare e accusare Mosca. Da parte sua, Putin ha puntato il dito contro Zelensky . Cosa che hanno fatto anche gli americani. Sfruttando nuovamente il New York Times ,gli 007 statunitensi hanno fatto sapere tramite una fonte anonima che «dietro l’attacco ci sono i servizi di intelligence ucraini».

Certo, non tutto ciò che trapela dai servizi segreti americani va preso come degno di fede. Del resto, fra una settimana si terranno le elezioni di Midterm.

Con molti repubblicani che non vedono di buon occhio il protrarsi del conflitto, queste «rivelazioni» potrebbero servire a stemperare i toni sul fronte interno e, insieme, a distendere i (difficili) rapporti con Putin.

Ma qui, appunto, ci muoviamo nell’ambito delle ipotesi.

A rimanere forte, però, è l’impressione che Zelensky rappresenti una variabile sempre più impazzita. Il presidente ucraino ha investito massicciamente nella sua immagine da capopopolo pronto a tutto per combattere l’Orso russo.

Di qui le sue insistenti e talvolta irragionevoli pretese nei confronti degli Stati Uniti e delle nazioni europee. Insomma, la stilizzazione dell’«eroe Zelensky», a cui hanno partecipato in prima linea i media occidentali, potrebbe essere sfuggita un po’ di mano. E ancora: se addirittura Washington inizia a nutrire dei dubbi, non si capisce perché noi italiani dovremmo aderire a un atlantismo cieco e acritico. Essere più realisti del re, del resto, non è mai una buona idea. Figuriamoci in un periodo complesso e delicato come questo.

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