Mattarella ieri ha aperto bocca contro la Francia non per difendere Meloni e il voto democratico degli italiani: ha mandato il messaggio che ogni mossa del futuro governo dovra’ essere approvata da lui

Stefano Folli per “la Repubblica”

Secondo Draghi, è “la curiosità, non la preoccupazione” il sentimento prevalente in Europa nei confronti del nuovo corso in Italia. Frase rassicurante e ottimista, ma non proprio esatta, se si guarda a quello che è successo ieri (venerdì 7 ottobre).

Non è cosa di tutti i giorni leggere critiche così esplicite da parte di una ministra francese (l’intervista a Repubblica della responsabile degli Affari Europei) e sentire il nostro presidente della Repubblica replicare che “l’Italia sa badare a se stessa”.

Per finire con il presidente francese che corregge, ma più che altro nella forma, la sua collaboratrice, visto che si limita a esprimere stima e fiducia nel presidente Mattarella, garantendo che “lavoreremo con chiunque egli nominerà”: beninteso, “senza rinunciare ai nostri valori”. Un attimo prima Macron aveva elogiato Draghi con parole quasi commosse, lasciando trapelare il rimpianto di non poter continuare a collaborare con lui.

Se si mettono insieme i tasselli, emerge la foto della fase che si apre a Roma in rapporto all’Europa. La Francia dà voce a una diffidenza non solo sua, perché quanto meno coinvolge Berlino. In sostanza, l’asse che regge l’Unione.

Il fatto che sia il governo francese a esporsi in una polemica preventiva assai inusuale verso un Paese come l’Italia – non una nazione marginale, bensì tra i fondatori dell’Europa politica – , si spiega con il rapporto privilegiato che Parigi intrattiene con Roma.

È un’ingerenza? Secondo il vecchio riflesso nazionalista, senza dubbio lo è. Ma nell’Europa integrata di oggi non è facile stabilire dove passa il confine delle interferenze, specie quando si parla di valori comuni e fondanti.

Comunque sia, l’avvertimento a Giorgia Meloni non potrebbe essere più ruvido. Ed è comprensibile l’irritazione di chi ha appena vinto le elezioni e si sente trattare con sufficienza. Ma il passaggio che l’Unione vive è assai delicato e quel che succede in Italia coinvolge, è inevitabile, anche il destino dei nostri vicini: tedeschi, spagnoli o francesi che siano. Dove esistono i valori, ma anche gli interessi.

Ribattere quindi accusando Parigi di “interferire” con i nostri processi democratici serve a poco. O meglio, getta le premesse per ulteriori frizioni. Non proprio quello che serve all’Italia, tanto è vero che la prima convinta di doversi muovere nella scia di Draghi sembra la premier in pectore. La quale peraltro non può passare sotto silenzio l’incidente.

Qui entra in gioco Sergio Mattarella. La sua risposta ai francesi è netta e ovviamente anche dovuta: a essere attaccato è il partito che sta per esprimere il presidente del Consiglio e nessuno deve nemmeno sospettare che le scelte del Quirinale siano condizionate da fattori esterni. Quindi il capo dello Stato, tutelando Giorgia Meloni, tutela anche il suo ruolo istituzionale. Un punto che le prime dichiarazioni francesi sembravano mettere in dubbio, sia pure in modo indiretto.

Dall’episodio si possono trarre due conseguenze. La prima è una conferma: il cammino del governo Meloni in Europa sarà faticoso. Tutti gli occhi sono su di lei, nel timore che voglia fare dell’Italia una seconda Polonia. Ovvero che finisca per restituire slancio, magari in modo involontario, all’estrema destra francese e tedesca: la vera angoscia d’oltre confine.

La seconda riguarda il Quirinale. Anche in virtù degli ultimi fatti, Mattarella ha consolidato il suo controllo sulle scelte del futuro governo. Può piacere o no, ma è così. E tale controllo, come tutti sanno, si eserciterà in primo luogo sulla nomina dei ministri.

Macron ha detto in sostanza che l’Italia di cui gli europei si fidano è quella di Mattarella e Draghi. Ora però sul palcoscenico c’è la giovane Meloni. Puntare sulla destabilizzazione può essere molto pericoloso, chiunque concepisca questo disegno. Mattarella ci ha invece detto che lui lavora per la stabilità e una normale dialettica.

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