Massimo D’Alema coinvolto nell’inchiesta che ha mandato in galera Sindaco, politici e imprenditori ad Otranto. Un suo galoppino pesantemente coinvolto. Tanto per cambiare

Giacomo Amadori per “La Verità”

Per la prima volta da circa sessant’ anni a questa parte Massimo D’Alema non sta prendendo parte ufficialmente alla campagna elettorale nella sua Puglia. Il politico a lui considerato più vicino nel Pd, Dario Stefàno, non è stato ricandidato. Nonostante questa scelta da Cincinnato, forse imposta dalle polemiche per la sua contestata intermediazione nella trattativa per vendere armi alla Colombia, non lo ha messo al riparo da citazioni non gradite su siti e giornali.

Infatti è finito agli arresti domiciliari, su richiesta della Procura di Lecce, un imprenditore considerato a lui vicinissimo, il sessantaquattrenne Roberto De Santis da Martano. Una vera disdetta per D’Alema, che, come vedremo, viene evocato pure nell’ordinanza sebbene con la vicenda giudiziaria non c’entri nulla.

Roberto, il figlio trentaduenne Luigi e l’omonimo Raffaele De Santis, il presidente di Federalberghi Lecce, sono accusati di corruzione nei confronti dei fratelli Pierpaolo e Luciano Cariddi, i quali si sono passati il testimone di sindaco di Otranto. I De Santis avrebbero offerto incarichi professionali e sostegno politico, mentre i Cariddi si sarebbero messi costantemente a disposizione dei loro corruttori per «tutelare gli interessi economici» di questi, a partire dall’auspicata e naufragata apertura di un locale per vip sulla spiaggia. Un progetto di cui Roberto De Santis, per l’accusa, sarebbe stato «l’effettivo dominus».

Ma a rendere l’inchiesta politicamente gustosa è il sostegno alla candidatura a senatore che la presunta cricca avrebbe garantito a Luciano Cariddi nelle elezioni del 2018. In particolare grazie «ai contatti in contesti romani» di Roberto De Santis.

Cariddi in corsa con il centro-destra, il suo sponsor storicamente schierato a sinistra. Un apparente cortocircuito che i magistrati sottolineano in questi termini nell’ordinanza: «Un impegno di certo non ascrivibile ad un comune ideale politico, atteso che Roberto De Santis era notoriamente legato alla corrente riconducile a Massimo D’Alema, anch’ egli candidato nella medesima competizione».

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E nello stesso collegio uninominale, aggiungiamo noi. I giudici continuano: «In proposito appare emblematico il dialogo intercettato il 27 gennaio 2018 quando Roberto De Santis, conclusa la sua incisiva azione su Roma volta ad assicurargli la candidatura al Senato, informava Luciano Cariddi del risultato ottenuto garantendogli l’appoggio elettorale, parallelamente a quello in favore di D’Alema».

Leggiamo, dunque, la trascrizione della telefonata citata a più riprese nell’atto giudiziario.

Roberto: «È chiusa, e chiusa!». Luciano: «È confermato il mio Senato». Roberto: «È fatta, è fatta! Mi ha chiamato Lorenzo… (per gli inquirenti Cesa, ndr) comunque e chiusa, Lecce è chiusa». Luciano: «È chiusa Lecce sì, va bene? Ti piace?». Roberto: «Va bene, va bene… cerchiamo di fare una cosa e l’altra no?! Dobbiamo essere bravi! Con l’equilibrio!».

I magistrati evidenziano, però, il «forte supporto offerto a Cariddi da Roberto De Santis, che si palesava già il 22 gennaio 2018 quando i due dialogavano sulle possibilità e sulle strategie da adottare per assicurarsi la candidatura nonché sulle scelte, potenzialmente vincenti per garantirsi l’elezione».

Per l’accusa, Roberto avrebbe sostenuto la candidatura del candidato di centro-destra «così da poter vantare un credito e potere contrattuale nei confronti dei fratelli Cariddi».

Nell’ordinanza viene rimarcato come, quando Luigi De Santis invita Pierpaolo Cariddi a un convegno sul turismo in cui è prevista la presenza di D’Alema, il sindaco prima sembri titubante vista lo scontro al Senato («Mio fratello candidato? Il problema non e per me, ma e per voi! Quindi se tu mi dici che questo non vi preoccupa primo non li ho per D’Alema, ma»), poi batte i tacchi: «Se pure avessi il diavolo e tu Luigi e te Roberto mi dici: “Pierpaolo! Avremo piacere ci serve la tua presenza”, io per voi vengo comunque… indipendentemente!».

Anche Raffaele De Santis darà il suo contributo spendendo il fac-simile della scheda elettorale con il nome di Cariddi a tutti i suoi contatti.

«Siamo forti non ti preoccupare, possiamo muoverci bene bene bene» scrive a Luciano e aggiunge: «Continuiamo a contattare a tappeto telefonicamente gli amici almeno mille nomi… non uno, mille».

Alla fine nel collegio numero 6 Nardò-Gallipoli a vincere è stata la grillina Barbara Lezzi con il 39,87 per cento dei voti. Cariddi ha preso con il centro-destra il 35,19. Terza l’allora piddina Teresa Bellanova (17,35) e mestamente ultimo è arrivato D’Alema che nel suo storico collegio si è dovuto accontentare del 3,9 per cento e 10.500 voti. Una débâcle dovuta, forse, anche all’ammutinamento dei suoi amici storici.

Nelle carte i magistrati parlano di ulteriori «scambi di “favori”» tra i De Santis e i Cariddi.

Per esempio l’allora neosindaco Pierpaolo chiede e ottiene da Luigi De Santis per il giorno della Befana del 2018 «una visita ad hoc, gratuita e con guida, esclusivamente per lui ed i suoi familiari, prima a Palazzo Vecchio dopo agli Uffizi» a Firenze. Pochi mesi dopo il sindaco garantisce a Luigi posti riservati alle autorità in prima fila per un concerto di Giovanni Allevi a Otranto.

Adesso per tutto questo i De Santis sono finiti sotto inchiesta, Roberto addirittura ai domiciliari. In passato questo esperto lobbista nel settore dell’energia è già stato coinvolto in altre indagini proprio per i suoi rapporti con la politica e le aziende di Stato. Per esempio a Roma è tuttora indagato per traffico di influenze per i suoi interventi presso il ministero della Sanità e il Commissario per l’emergenza durante la pandemia.

In precedenza era finito sotto inchiesta con l’accusa di finanziamento illecito nell’inchiesta sul cosiddetto Sistema Sesto gestito dagli allora Ds ed era stato perquisito in un’inchiesta fiorentina sulle Grandi opere. Il suo nome è citato anche nel fascicolo (in via di archiviazione) sulla cosiddetta loggia Ungheria per la sua presunta intermediazione in una transazione tra Eni e l’azienda di uno dei suoi tanti amici. «Sono trentacinque anni che sto in mezzo alla strada in prima linea e di merda ne ho vista molta, ma per fortuna o per merito non mi sono mai sporcato» ci aveva detto qualche settimana fa De Santis.

Dell’uomo, su Internet, non esiste alcuna foto recente, sebbene il suo volto sia ben conosciuto nei salotti che contano, soprattutto in quelli della finanza. Il suo ufficio in piazza Navona è un viavai di personaggi e di affari, nonostante lui sia cresciuto a pane e Pci.

La svolta quando è entrato nel cerchio magico di D’Alema, che ha seguito in tutte le sue peregrinazioni, senza mai perderlo di vista. L’inverno scorso, in pieno Colombia-gate, Roberto ha raccolto a più riprese sfoghi e confidenze del vecchio amico. Pochi mesi dopo le parti si sono invertite e sarà Massimo a dover consolare il compagno di mille avventure. Un’ultima annotazione.

Chi scrive, un po’ di anni fa, aveva svelato un’intercettazione del maggio 2009 tra De Santis e Alberto Maritati, un ex magistrato barese e poi politico Pd di stretta osservanza dalemiana, una telefonata da cui si evinceva l’interessamento dell’imprenditore ad avere notizie su un’inchiesta che coinvolgeva Gianpaolo Tarantini, il giovanotto che forniva avvenenti fanciulle non solo a Silvio Berlusconi, ma anche a un gruppetto di conoscenti dell’ex premier Massimo D’Alema.

I DOCUMENTI CHE DIMOSTRANO LO STATO DELLE TRATTATIVE DEI DALEMA BOYS CON LA COLOMBIA

I DOCUMENTI CHE DIMOSTRANO LO STATO DELLE TRATTATIVE DEI DALEMA BOYS CON LA COLOMBIA

Qualche giorno dopo, l’ex leader del Pds riuscì a vaticinare in tv l’arrivo di «scosse» per Berlusconi e lo anticipò cinque giorni dopo che Patrizia D’Addario, una delle signorine della scuderia di Gianpi, aveva verbalizzato le sue accuse in Procura. Tredici anni dopo quei fatti, nell’ordinanza di ieri, rispunta un’intercettazione con Maritati. Pierpaolo Cariddi è stato captato dalle microspie mentre nel suo studio chiede all’ex pm di scendere in strada «allorquando si apprestava ad affrontare un argomento evidentemente ritenuto delicato». Chissà di che cosa voleva parlargli.

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