L’’ira di Di Maio: “Punito dai patti. A Calenda concesso troppo”
E alle urne il ministro potrebbe essere ubiquo: lui candidato con il Pd, i fedelissimi nella lista Impegno Civico forse con il suo nome nel simbolo
Luigi Di Maio e il «diritto di tribuna», Di Battista all’attacco: «Non ha un voto, perché il Pd lo vuole?»
L’idea di Dibba è che dietro ci sia qualcosa di poco chiaro: «Che rassicurazioni ha avuto mesi fa, quando portava, insieme a Grillo, il Movimento 5 Stelle tra le braccia di Draghi? Queste sono domande che dovrebbero avanzare i giornalisti. Ma, salvo rare e preziose eccezioni, oggi i giornalisti a Di Maio non chiedon nulla. Lo trattano come Mazzarino nonostante abbia dilapidato un consenso colossale costruito con il sudore della fronte anche (e soprattutto) di persone che non hanno chiesto mai nulla in cambio».
Poi rievoca il passato: «Il Di Maio che ricordo io – ai tempi dell’onestà intellettuale o della fraudolenta recitazione – detestava il PD come null’altro. Oggi, a quanto pare, il suo nome comparirà sotto il simbolo del PD. Beh, se così fosse vi sarebbe una ragione in più per non votarli e per non avere nulla a che fare con loro. Questa è la politica politicante, ciò che più impedisce il cambiamento, ciò che è più distante dalle esigenze dei cittadini, dai loro drammi. Ciò che più allontana gli italiani dalle urne. Ciò che più indebolisce quel che resta della democrazia». L’ultima battuta è tranchant: «Uno Statista pensa allo Stato, Di Maio pensa a se stesso».