“La Germania è alla canna del gas e l’Italia pure” Solo Belpietro suona la sveglia: chiudiamo sta guerra e leviamo le sanzioni. L’Europa intera sta per collassare

Maurizio Belpietro per “La Verità”

C’è una verità che nessuno ha il coraggio di dire: la guerra in Ucraina va finita il prima possibile. Non so come, con quali concessioni o penalizzazioni nei confronti di Mosca, ma ormai è evidente per chiunque voglia guardare in faccia la realtà: a questo conflitto si deve porre fine perché nessuno è disposto a subirne le conseguenze.

La Germania è alla canna del gas e noi pure. I tedeschi non sanno più come uscire dalla situazione in cui ci siamo infilati, cioè come aggirare le sanzioni. Adottate per costringere Putin a cedere e suonare la ritirata dell’armata rossa, si stanno rivelando un boomerang per chi le ha imposte, in quanto stanno mettendo in difficoltà l’economia dell’intera Europa.

Infatti, il governo di Olaf Scholz, dopo aver chiesto al Canada di ignorare l’embargo e restituire una turbina a Gazprom, per evitare che la compagnia russa abbia un pretesto per ridurre le forniture di metano, sta ritardando l’erogazione dei miliardi promessi a Kiev. Un segno per ingraziarsi Putin?

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Forse solo per evitare ritorsioni che metterebbero in ginocchio l’industria di Berlino. Non va meglio in Italia, dove da ieri è ufficiale il possibile razionamento dell’energia. Fino a qualche settimane fa il governo si diceva sicuro di poter trovare un’alternativa al gas russo, grazie all’Algeria e all’Azerbaigian, ma oggi i fatti non lasciano speranze.

Senza il metano di Putin, l’Italia non ha scorte sufficienti per superare l’inverno: dovrebbe ridurre il riscaldamento, fermare alcune produzioni e spegnere i lampioni delle strade. Ancora nessuno ha il coraggio di dire che parte della popolazione resterà al freddo e molte industrie non saranno in grado di produrre, sia per i costi troppo elevati dell’energia che per i distacchi che potrebbero verificarsi.

In altri Paesi se ne discute sui giornali quasi come un dato di fatto, da noi si preferisce glissare per non preoccupare l’opinione pubblica. Una situazione che, a differenza dei primi mesi di guerra, quando la solidarietà nei confronti dell’Ucraina era ai massimi, sta facendo aumentare l’insofferenza nei confronti di un conflitto che, a differenza dei vertici della Ue, nessuno sente davvero come proprio.

Che il sentimento sia cambiato se ne sono resi conto anche gli ucraini. Ieri, in un’intervista al Corriere della Sera, il ministro dell’Economia, Serhiy Marchenko non ha usato mezze parole: «Se penso a marzo o aprile mi rendo conto che ora l’atteggiamento e il desiderio di sostenerci sono molto diversi. Certo, riceviamo armi e aiuti militari, ma non bastano a vincere. È un chiaro segno che l’Unione europea e il mondo intorno all’Ucraina sono un po’ stanchi di questa guerra».

Scendendo nel dettaglio di ciò che l’Ucraina si aspetterebbe da coloro che le hanno giurato solidarietà eterna, Marchenko ha spiegato che la Ue aveva promesso assistenza finanziaria per 9 miliardi di euro, ma finora si sono visti solo gli spiccioli.

«Forse 1 miliardo arriverà questo mese, poi potrebbe esserci una pausa». Sì, ma Kiev per non dichiarare fallimento ha bisogno di 5 miliardi al mese e come li trova? Stampando moneta, dice il ministro dell’Economia, ma sa perfettamente che la conseguenza sarebbe un’iperinflazione. Soprattutto non gli sfugge che, senza i finanziamenti europei, la possibilità di resistere ed evitare il default è ridotta al lumicino.

Insomma, combattere costa, perché la solidarietà non è gratis. Certo, da una parte c’è il sentimento, la voglia di aiutare un popolo che lotta per la propria libertà. Gli occidentali solidarizzano con gli ucraini, non certo con i russi.

Ma fino a quando? E soprattutto, fino a che punto sono disposti a sostenerne le conseguenze? Se si parla con gli industriali non se ne trova uno che in via riservata non riconosca l’urgenza di un negoziato. Imprenditori grandi e piccoli, finanzieri noti e meno noti la pensano tutti alla stessa maniera: facciamola finita, perché questa guerra ci sta portando sull’orlo del precipizio.

Il riferimento non è solo ai pericoli che potrebbero innescarsi con l’uso di armi nucleari tattiche, né si guarda alla piega che hanno preso gli eventi, con una lenta ma inesorabile avanzata delle truppe russe che lascia poco spazio all’idea di una riscossa ucraina.

No, quando parlano di pericoli, i capi delle aziende e degli istituti di credito italiani alludono al rischio di una recessione. L’inflazione viaggia ormai spedita oltre l’8 per cento, ma è un 8 per cento medio, che non tiene conto dei consumi quotidiani, i quali incidono in maniera pesante sulle famiglie a più basso reddito. È la crisi a spaventare di più. Il solo che ha il coraggio di metterci la faccia è il proprietario della Giessegi, un marchio noto dell’arredamento.

Per Gabriele Miccini ci vuole subito la pace e la revoca delle sanzioni alla Russia. Se no avremo milioni di disoccupati. «Draghi, Macron e Scholz», ha detto a Cronache maceratesi, «dovrebbero andare da Putin e capire che cosa serve per arrivare alla pace, cercando di avvicinare la Russia all’Europa, invece di lasciarla avvicinarsi a Cina e India». Sì, ci vuole un po’ di coraggio a parlare chiaro, perché il politicamente corretto impedisce di guardare la realtà e di dire la verità. Ma quella gli italiani la scopriranno presto.

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