Morto a 91 anni Ettore Mo, uno degli ultimi veri giornalisti: era il decano degli inviati di guerra, una specie oramai estinta. Non raccontava quello che faceva comodo al padrone, ma semplicemente quello che vedeva

Nei suoi leggendari reportage ha raccontato i grandi conflitti internazionali degli ultimi decenni

L’Afghanistan a piedi coi mujaheddin in guerra coi russi, l’Iran dopo la rivoluzione khomeinista: sono decine i reportage di guerra indimenticabili del giornalista-scrittore Ettore Mo, uno degli ultimi grandi maestri del giornalismo del Novecento che si ĆØ spento stanotte a 91 anni. Nato a Borgomanero, ĆØ stato tra gli inviati di punta del Corriere della Sera. Dall’Iran all’Afghanistan, dalla Jugoslavia alla Cecenia, al Pakistan e all’India, ha raccontato con i suoi reportage i conflitti internazionali degli ultimi decenni e intervistato i maggiori protagonisti del secolo scorso. Tra le altre ha firmato una delle ultime interviste rilasciate da Luciano Pavarotti in cui il tenore modenese racconta la sua lotta contro la malattia. Prima di diventare giornalista fa svolto anche i lavori piĆ¹ umili come lui stesso raccontava: Ā«Sguattero e cameriere a Parigi e Stoccolma, barista nelle Isole della Manica, bibliotecario ad Amburgo, insegnante di francese (senza titoli, naturalmente) a Madrid, infermiere in un ospedale per incurabili a Londra e infine steward in prima classe su una nave della marina mercantile britannicaĀ». Ad annunciare stanotte la sua scomparsa su X Milena Gabanelli: Ā«Stasera sul tuo lago Maggiore sarĆ  un poā€™ piĆ¹ buioĀ».

Dopo anni di gavetta, da cronista al Messaggero e al Corriere della Sera, si ĆØ occupato per oltre ventā€™anni di politica estera raccontando in prima persona tutte le crisi mondiali. Mo ha conosciuto e intervistato i piĆ¹ importanti leader mondiali.

A dare la notizia della morte ĆØ stato nella notte il sito web del Ā«Corriere della SeraĀ» il giornale per cui aveva lavorato sin dal lontano 1962. LƬ si era occupato per oltre 10 anni di musica e teatro. Poi dal 1979, iniziĆ² la sua carriera da inviato che lo renderĆ  una delle firme piĆ¹ importanti dei reportage di guerra. Lā€™allora direttore del quotidiano di via Solferino, Franco Di Bella, lo spedƬ infatti dalla redazione spettacoli nel bel mezzo della rivoluzione khomeinista a Teheran. Da quel momento non si sarebbe piĆ¹ fermato. Dall’Afghanistan al Nicaragua, dalla Liberia al Messico, dalla Cambogia a Cuba divenne testimone eccezionale di guerre e conflitti ultradecennali. Le storie, gli incontri, le interviste di Mo, tutte realizzate sempre e solo recandosi in prima persona nei luoghi dove i fatti accadevano, e scritte con stile chiaro, asciutto, senza fronzoli, sono state un prezioso contributo alla conoscenza degli angoli piĆ¹ remoti del nostro pianeta. Spesso i suoi racconti sono stati poi pubblicate in volumi.

Considerato il decano degli inviati nei teatri di guerra, Mo aveva conosciuto e intervistato alcuni fra i grandi del Novecento, con interviste rimaste nella storia e non sempre legate soltanto al racconto degli scenari internazionali: da madre Teresa di Calcutta al direttore dā€™orchestra austriaco Herbert von Karajan, a Luciano Pavarotti. Nella sua lunga carriera, Mo aveva ottenuto numerosi riconoscimenti professionali, tra cui il Premio Saint Vincent (1982), il Premio Ilaria Alpi (1997) e lā€™Ordine al merito della Repubblica Italiana (2003). Aveva scritto regolarmente per il Ā«Corriere della SeraĀ» sino al 2011.

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