“Donald Trump rischia di fare la stessa fine dei Kennedy” Nel giorno della vittoria alle primarie in Iowa, qualcuno mette in guardia il probabile prossimo Presidente degli Stati Uniti

di Cesare Sacchetti per La cruna nell’ago

Quando alcuni giornalisti sono stati “sorpresi” a fare dei macabri scherzi sul desiderio, o sulla possibilità, che Trump possa essere ucciso come John Fitzegarald Kennedy sono venuti alla mente gli anni nei quali l’allora presidente democratico fu vittima di una massicca cospirazione.

Esiste un legame, una sorta di filo rosso, che lega l’eredità di JFK al percorso che ha intrapreso Trump dal 2016 in poi.

Le storie di questi due uomini sono diverse poiché JFK viene da una famiglia molto altolocata e rispettata tra gli ambienti delle élite americane che contano.

Il padre, Joseph, era un diplomatico che apparentemente intratteneva rapporti con uomini di organizzazioni mafiose ai tempi del protezionismo per portare avanti illegalmente la vendita di alcolici.

Quando Kennedy divenne presidente ci furono forti sospetti di brogli elettorali sollevati dall’allora sfidante, Nixon, e si parlò nuovamente di un coinvolgimento della mafia per consentire al candidato democratico di assicurarsi la vittoria.

Ciò nonostante JFK, una volta entrato alla Casa Bianca, non ha manifestato nessuna intenzione di allinearsi ai desiderata dei poteri che davvero comandano in America.

In quegli anni, il presidente stava intrattenendo un rapporto di amicizia con un uomo del quale si è avuto modo di parlare in precedenza, Benjamin Freedman.

Freedman è un personaggio quasi unico nella storia degli Stati Uniti d’America poiché egli era un ebreo provienente dagli affluenti ambienti della società newyorchese che ad un certo punto della sua vita decise di rinnegare il sionismo e la sua causa per avvicinarsi invece alla religione cattolica e denunciare i piani della lobby israeliana che voleva e vuole trascinare l’America in un conflitto globale.

Freedman narra che riuscì a convincere JFK del pericolo che costituiva questo potente gruppo di pressione e il presidente quando entrò alla Casa Bianca iniziò a manifestare una certa freddezza, se non aperta ostilità, nei confronti dello stato ebraico.

Israele nei primi anni 60 stava lavorando attivamente alla costruzione dell’impianto nucleare di Dimona, nel deserto del Negev, che ufficialmente era stato costruito per attività di ricerca civili sull’energia nucleare.

In realtà, Israele in quella struttura ha iniziato a mettere in atto il suo piano segreto per la costruzione di ordigni atomici ed è alquanto paradossale notare il fatto che oggi ovunque sentiamo parlare della fantomatica “minaccia nucleare” dell’Iran, quando ad oggi l’unico stato che ha illegalmente sviluppato armi nucleari è proprio quello israeliano.

Kennedy voleva vedere chiaro nel programma nucleare israeliano e questo pare aver provocato irritazioni dalle parti di Tel Aviv.

Fino a quel momento, non c’erano mai stati particolari problemi con gli altri presidenti. Gli Stati Uniti sono stati più che una nazione indipendente, una nazione al servizio della politica estera israeliana.

Sono state avanzate diverse ipotesi sull’omicidio di JFK, tra le quali la più nota è quella che lo vedeva contrapposto all’apparato dello stato profondo di Washington, considerata la sua aperta intenzione di “fare a pezzi” la CIA che già in quegli anni era un’organizzazione dominata dalla famigerata famiglia Rockefeller.

Così come è vero che Kennedy aveva con ogni probabilità intenzione di seguire l’esempio del suo predecessore, Abraham Lincoln, che decise di istituire una moneta nazionale emessa dal governo, il famoso greenback, suscitando le ire dei potenti ambienti della finanza rothschildiana di Londra che assoldò il sicario John Wilkes Booth per uccidere il presidente nel 1865.

Israele voleva la morte di Kennedy?

Non è stata però considerata a fondo l’ipotesi che ad avere un ruolo decisivo nell’assassinio di Kennedy, oltre ai poteri già citati, sia stata Israele.

Quando è uscito di prigione nel 2004, l’attivista e tecnico nucleare israelieano, Mordechai Vanunu, lo ha dichiarato esplicitamente.

“Kennedy fu ucciso per via delle pressioni che ha esercitato sull’allora capo del governo, David Ben-Gurion, di fare luce sull’impianto nucleare di Dimona.”

Vanunu è considerato oggi una sorta di “pentito” che ha deciso di rivelare le vere attività criminali dello stato di Israele.

Quando iniziò a rivelare al mondo che Israele stava portando avanti un programma di armi nucleari, i servizi segreti israeliani riuscirono ad attirarlo in Italia nel 1986, quando lui aveva già lasciato lo stato ebraico, per rapirlo e deportarlo in Israele, dove è stato processato e condannato illegalmente ad una sentenza di 18 anni, finita di scontare nel 2004.

Il Mossad, del resto, non è nuovo ad “attività” del genere, visto che tra le sue specialità ci sono anche gli omicidi politici nei confronti dei suoi avversari, pratica che è anche costata la vita a degli innocenti come accaduto nel famigerato caso di Lillehammer, in Norvegia, quando gli isralieani uccisero un innocente cameriere marocchino.

Vanunu dunque rivelò un ruolo dello stato ebraico nella morte di Kennedy che non può essere non preso in considerazione, considerata l’enorme influenza di cui gode la lobby sionista verso le istituzioni americane.

Non è affatto avventato dire che le redini del potere in America sono state a lungo nelle mani di gruppi quali i famigerati Chabad, dei quali si è parlato recentemente, e dell’AIPAC.

Israele è stata la vera signora della politica americana e Kennedy ha pagato con la vita il fatto di essersi opposto a quei poteri che tenevano in ostaggio gli Stati Uniti d’America.

Lo stato profondo ha cercato di eliminare più volte Trump

A distanza di poco più di 60 anni da quel 22 novembre del 1963, giorno della esecuzione pubblica di Kennedy, vediamo che aleggia in certi ambienti del potere americano e israeliano quella intenzione e quel desiderio di volersi liberare di Trump.

Trump, sin dal principio, è stato un vero e proprio incubo per questi apparati. Quando decise di candidarsi nel 2016, fece saltare completamente il tavolo.

Per la prima volta, c’era la seria possibilità che a Washington fosse eletto un presidente al servizio degli Stati Uniti e non delle varie lobby che hanno controllato questa strategica nazione.

Si mise in moto un meccanismo fatto di pianificazione di colpi di Stato, quali lo Spygate e l’Italiagate, nei quali spicca un coinvolgimento dello stato profondo italiano, e di tentativi di omicidio.

Lo stato profondo di Washington ha già cercato di far fare a Trump la fine del suo precedessore, Kennedy.

Risultano esserci stati molteplici attentati contro la vita del presidente. Uno di questi, ancora oggi irrisolto, ha visto un misterioso cecchino sparare contro la scorta di elicotteri del presidente nel 2020.

Alcune settimane dopo, è sembrato esserci un nuovo tentativo con un drone che si è avvicinato all’aereo presidenziale e la collisione è stata evitata apparentemente per pochissimo.

C’è un altro caso, il più clamoroso, che non è stato raccontato dai media mainstream ma che appare essere confermato da fonti diplomatiche internazionali.

A pochi giorni di distanza dalla anomala inagurazione di Joe Biden, a Mar-a-Lago, la residenza dell’imprenditore newyorchese in Florida, un drone avrebbe sparato un proiettile contro la finestra della camera da letto di Trump.

Soltanto il vetro anti-proiettile che Trump aveva fatto installare pochi mesi prima ha salvato la vita del presidente, e non è stata questa nemmeno la prima volta che intrusi hanno cercato di entrare nella residenza di Donald Trump.

C’è una ragnatela di società segrete, massonerie, e circoli mondialisti di vario tipo che hanno fatto di tutto per togliere di mezzo il presidente americano ma non ci sono riusciti soltanto perché Trump ha la protezione delle forze armate americane a differenza invece di quanto accaduto a Kennedy che è stato lasciato solo ed è andato incontro al suo destino a Dallas.

Questa è la suggestione che sembra essere presente in alcune menti di questi ambienti che sono attraversati da un panico profondo, e l’ennesimo riscontro di questa paura si può trovare proprio nelle dichiarazioni del famigerato esponente israeliano di Davos, Yuval Harari, che ha dichirato che l’elezione di Trump significherebbe la fine di ciò che è rimasto dell”ordine globale”.

Simili preoccupazioni sono state manifestate da varie ONG di stampo sorosiano che, nemmeno troppo tra le righe, parlano di “soluzioni” per impedire che Trump controlli l’esercito, e tali “soluzioni” sembrano chiaramente invitare ad un golpe militare per rovesciare il presidente.

Questo è il filo rosso che lega Trump a Kennedy e a sua volta conduce a Lincoln. E’ il filo rosso della sovversione che vuole tornare a dominare l’America per attuare il piano del Nuovo Ordine Mondiale.

Il problema per questi personaggi resta lo stesso del 2020 quando attuarono la frode elettorale e non riuscirono a spostare di una virgola la politica estera degli Stati Uniti.

Il problema per loro è che Trump non ha mai perduto il controllo, nemmeno per un istante, e le forze armate e il popolo americano sono dalla sua parte.

Ad essere solo non è Trump ma lo stato profondo che ancora oggi insegue il “sogno” di rovesciarlo o ucciderlo.

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