Democrazia in crisi? La colpa è anche di Mattarella
Nel discorso del Capo dello Stato l’appello al voto. Ma se gli elettori disertano le urne, la colpa è anche del Quirinale
di Giuseppe De Lorenzo per il blog di Nicola Porro
Per leggere le lodi del discorso di fine anno di Sergio Mattarella potete andare altrove, essendo state tessute abbondantemente da colleghi, opinionisti e politici di ogni ordine e grado. Pace, parità di genere, periferie, tasse, Costituzione: da Landini a Meloni, da Boldrini a Rampelli, tutti sono riusciti a trovare un pezzetto gradevole da citare nell’ultimo lancio di agenzia del 2023. Però, in questo Capodanno, ci sia permesso di fare una breve e polemica considerazione sulla predica di Re Sergio andata in onda a reti unificate.
Mattarella, dacci un taglio
La prima riguarda proprio l’omelia. Per come è stata scritta, sembrava più una lectio magistralis di Papa Francesco che il messaggio del Capo dello Stato alla Nazione. Inoltre, Mattarella è solito andare a Messa ogni domenica e dovrebbe sapere meglio di altri che, oltre i cinque minuti, l’attenzione del popolo di Dio alle parole del parroco diventa inevitabilmente bassa. Figuratevi voi se di fronte c’è anche un cenone imbandito da iniziare a gustare. Alzi la mano chi ha pensato per almeno un momento: ‘Sergio, dacci un taglio’; oppure ha seguito il tutto a spizzica e bocconi, preferendo qua e là una fetta di cotechino.
L’appello al voto
Stendiamo poi un velo pietoso sulla frase in onore della protesta delle tendine, gli universitari che vorrebbero l’alloggio gratis o al prezzo che decidono loro. Anche quando vivono a un’oretta di treno dall’Ateneo. A colpire è piuttosto il passaggio in cui Mattarella fa un coraggioso appello al voto, l’unico modo per “definire la strada da percorrere” di uno Stato. Il presidente invita a non limitarsi a “rispondere ad un sondaggio o a stare sui social”, perché “la democrazia è fatta di esercizio di libertà”. Giusto, ma un tantino ipocrita.
Se infatti l’affluenza alle ultime elezioni è stata solo del 63,91%, con un calo del 9%, e se alle regionali in Lombardia e Lazio è andata pure peggio (41,67% e 37,20%), parte del problema sta anche al Quirinale. Tralasciando il regno di Napolitano, da quando Sergio risiede sul Colle più alto di Roma, per almeno due volte ha evitato il ritorno alle urne alla caduta dei governi in carica. Nel caso del Conte I, ha avvallato la nascita di una maggioranza contraria ed opposta a quella fin lì al governo, peraltro mantenendo lo stesso premier. Alla crisi del Conte II, ha benedetto la salita al potere di Mario Draghi con una fiducia raccogliticcia e bipartisan nata per litigare.
Se insomma gli italiani hanno perso fiducia nel meccanismo della democrazia, se si sono fatti “vincere dalla rassegnazione” o “dall’indifferenza”, forse lo si deve anche a decenni di manovre di palazzo che hanno reso inutile quella crocetta apposta sulla scheda. Se porti al governo partiti usciti sconfitti dalle elezioni, benché nelle regole costituzionali, come fai a biasimare se poi la gente non vota più?
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