Euro, 25 anni da incubo. Stipendi, prezzi e crescita, perché la moneta unica è un disastro. I numeri di una disfatta

di Paolo Cagnoni per Ilparagone

Il primo gennaio del 2002, sulle ali delle promesse di Prodi e degli euroentusiasti, l’Euro sostituì la cara, vecchia Lira. “Lavorerete un giorno di meno e guadagnerete come se lavoraste un giorno di più”. Chi non ricorda la profezia del Professore bolognese? Mai previsione fu più sbagliata e smentita dai fatti. Eppure Prodi è ancora lì che pontifica, con il suo codazzo di seguaci impermeabili a verità e decenza. Un esercito di sedicenti esperti che negli anni ha speso fiumi di inchiostro e risme di carta per spiegarci che no, non era l’Euro il problema, ma la “nostra percezione”. E’ colpa della “percezione dei cittadini”, sostenevano i paladini della moneta unica, se gli stipendi non bastano più per sopravvivere e se milioni di persone sono precipitate alle soglie della povertà.

“In realtà i prezzi non sono aumentati così tanto”, spergiuravano, fingendo di non sapere che i costi fissi e quelli dei generi di prima necessità sono schizzati alle stelle mentre si sono abbassati quelli legati alla tecnologia. Cosa ovvia, visto che gli oggetti tecnologici sono diventati nel frattempo diffusissimi e di uso comune. Poi sono arrivati i dati sugli stipendi. Che hanno certificato senza possibilità di discussione che quelli degli italiani sono rimasti al palo. Addirittura diminuiti rispetto a vent’anni fa. Questi numeri i paladini dell’Euro tendono a non citarli o a minimizzarli. E invece spiegano tutto. Perché se i salari restano fermi per vent’anni mentre i prezzi raddoppiano, come ha certificato l’Istat, è come se una manina invisibile avesse sottratto dalle vostre tasche la metà dei vostri soldi.

Il potere d’acquisto degli italiani si è dimezzato. Chi ha avuto la fortuna di guadagnare in lire sa che, con 2 milioni al mese, una famiglia viveva decentemente. Con 1000 euro al mese, invece, oggi non è possibile nemmeno sopravvivere se non al costo di enormi sacrifici. E dell’impossibilità di costruirsi un futuro, una famiglia e di mettere al mondo figli: insomma l’Euro ha causato un disastro finanziario e una catastrofe sociale. Molti pensano che la prima causa di questo incubo che ci perseguita da vent’anni risieda nel tasso di cambio accettato al momento del passaggio di valuta. In realtà non è così. Un cambio più forte per noi avrebbe penalizzato ulteriormente le nostre esportazioni.

Il vero problema è che i cambi sono diventati fissi e immutabili. Un dramma per la nostra economia, una manna per quella tedesca. Gli economisti capaci di mantenere lucidità nei giorni della sbornia dell’Euro, quando sollevare dubbi era considerato blasfemo, lo sapevano già prima del 2002. L’Europa è composta da Paesi che hanno strutture molto diverse fra loro. Le economie forti sono state avvantaggiate dall’ingresso nell’Euro, imponendo il loro modello e godendo di una moneta più debole che ha favorito le esportazioni. Quelli con economie più fragili come Italia, Spagna, Portogallo e anche in parte la Francia hanno invece subito un grave danno. La loro moneta è diventata più forte, e non potendo più svalutarla hanno dovuto tagliare le spese e correggere i bilanci statali.

Questo ha portato al taglio di investimenti in settori fondamentali, alla svendita all’estero di molte eccellenze industriali e di asset pubblici di grande importanza. Soprattutto, non potendo intervenire sulla moneta, ai governi restava un’unica via oltre al taglio delle spese: quella di aumentare le tasse e svalutare i salari. Per questo oggi guadagnate meno di vent’anni fa e pagate un’infinità di tasse. Per rendere il tutto ancora più chiaro, ricordiamo gli interventi messi in atto da Giuliano Amato nel 1992 per “sistemare” i nostri conti e permettere l’entrata dell’Italia nello Sme e in seguito nell’Euro: il Dottor Sottile iniziò con un prelievo forzoso del 6 per mille sui conti bancari degli italiani. Poi aumentò l’età pensionabile, introdusse la minimum tax, il ticket sanitario, una patrimoniale per le imprese, la tassa sul medico di famiglia, le tasse sulla casa e raddoppiò il costo del bollo auto. Spese che paghiamo anche oggi.

Per questo la nostra sanità sprofonda, l’età pensionabile fra un po’ arriverà a 80 anni, le tasse aumentano senza tregua e il Paese non cresce. Senza investimenti, come sa qualsiasi imprenditore, non c’è sviluppo. Se il potere d’acquisto del popolo diminuisce, calano i consumi effettivi e l’economia ristagna. Insomma, abbiamo scelto di sostenere costi abnormi a spese del popolo italiano per entrare in un sistema che poteva solo penalizzarci. I cittadini non sono obbligati a conoscere la macroeconomia, e quindi non sono colpevoli. Anche perché ubriacati da una propaganda a senso unico come non si era mai vista dai tempi dell’Istituto Luce. Ma i politici e, soprattutto, gli economisti lo dovevano sapere. Ci sono enormi responsabilità a carico di chi ha permesso tutto questo. Ma anziché affrontare il problema, in Italia i media continuano a nascondere la polvere sotto il tappeto. E il prezzo lo paghiamo noi.

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