Salario minimo, siamo all’ennesima buffonata: il Cnel di Brunetta si divide anche sul documento finale. Meloni ha raggiunto l’obiettivo di perder tempo e non decidere nemmeno stavolta

ROMA. Il Cnel si divide sul salario minimo. Il Consiglio nazionale economia e lavoro ha approvato in assemblea il documento sul salario minimo a maggioranza: 39 favorevoli e 15 contrari, mentre 8 consiglieri non hanno partecipato al voto. Il testo, più che un salario minimo legale, punta sul rafforzamento della contrattazione collettiva per contrastare il lavoro povero. Cgil, Cisl e Uil hanno votato contro e tra chi non ha partecipato al voto si segnala la Legacoop che ha preferito non esprimersi viste le “visioni strumentali e forzate sul ruolo del Cnel” da parte della politica. Bocciato l’emendamento dei 5 consiglieri esperti nominati dal Quirinale che chiedevano la sperimentazione di un salario minimo orario per le categorie fragili, come donne, giovani e immigrati, da affiancare alla proposta elaborata dalla Commissione d’informazione per rendere la contrattazione collettiva più forte. La proposta emendativa era stata firmata dai consiglieri Marcella Mallen, Enrica Morlicchio, Ivana Pais, Alessandro Rosina e Valeria Termini. Approvato invece un emendamento del consigliere esperto Carlo Altomonte per realizzare “uno specifico, puntuale e sistematico monitoraggio delle aree di maggiore criticità ed in relazione ai gruppi marginali e fragili di lavoratori”.

Il presidente del Cnel Renato Brunetta ribadisce: “Un salario minimo orario di 9 euro non serve, occorre invece una molteplicità di strumenti, una cassetta degli attrezzi specifica per aiutare la contrattazione nei settori più fragili, dai multiservizi all’agricoltura agli appalti fino ai lavori di cura”. Brunetta rivendica il “rilancio del Cnel”, che in 60 giorni ha prodotto un testo che verrà trasmesso oggi alla premier Giorgia Meloni su un tema cruciale. “Noi siamo dentro la costituzione- continua l’ex ministro- abbiamo fatto la scelta di star fuori dallo scontro politico”. Il documento, insiste l’ex ministro, punta “sulla grande tradizione italiana di relazioni sindacali e industriali, relazioni di primissima qualità”.

Il tasso di contrattazione collettiva in Italia sfiora il 100%, quindi “non siamo tenuti a far nulla visto che la direttiva europea invita a realizzare il salario minimo quando la contrattazione è sotto l’80%”.

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