Alessia Pifferi, la procura ha chiesto di effettuare una perizia psichiatrica per cercare di capire come una donna abbia potuto far morire di stenti la figlia

Lasciò morire la figlia di stenti, i pm: “Alessia Pifferi madre scellerata”, ma i giudici chiedono la perizia psichiatrica
Per la procura la donna è «persona capace e senza problemi che a un certo punto ha un qi di 40». La difesa: «L’accusa ha terrore dell’accertamento tecnico»

di Alessia Siravo per La Stampa

Fin dalla prima udienza la difesa di Alessia Pifferi la chiedeva. E alla fine l’ha ottenuta. La Corte di assise di Milano ha deciso di far sottoporre la donna, imputata per l’omicidio di Diana, la figlia di quasi 18 mesi abbandonata in casa per una settimana e lasciata morire di stenti nel luglio 2022, a una perizia psichiatrica. Un accertamento per i giudici che dovrà stabilire la «sussistenza al momento del fatto della piena capacità di intendere e di volere nonché l’eventuale pericolosità sociale» della trentottenne. Una decisione arrivata dopo la fine dell’istruttoria processuale in cui sono stati ascoltati decine di testimoni, consulenti e la stessa Alessia Pifferi. Con parole dure prima il pm Francesco De Tommasi, co-titolare dell’inchiesta con la collega Rosaria Stagnaro, e poi l’avvocato Emanuele De Mitri, legale di parte civile, si sono opposti all’esame sul vizio di mente.
Pifferi è una «persona capace e senza problemi che a un certo punto ha un qi di 40», ha sottolineato il rappresentante dell’accusa. E ha aggiunto: «Non ci sto ad essere preso in giro, Alessia Pifferi non ha alcun problema mentale e ha avuto un atteggiamento scellerato nei confronti della figlia». Come certificato dal personale del carcere di San Vittore, in cui Pifferi si trova dal 21 luglio 2022, con alcuni test effettuati nei colloqui. «Lo abbiamo sentito la scorsa udienza, quando l’imputata ha candidamente riferito che sono state le psicologhe in carcere che hanno messo in testa la possibilità che fosse stata indotta da terzi a lasciare da sola la bimba. Non è semplicemente il metodo, ma l’accertamento è fuori dalle competenze della struttura carceraria». Con un «effetto: manipolare il cervello della Pifferi. Rendendo oggi difficile se non impossibile ripetere un accertamento sulle capacità cognitive». Un’argomentazione, quella del pm, che si fonda sulla consulenza affidata agli psichiatri forensi di parte, Marco Lagazzi e Alice Natoli. «Il contributo delle psicologhe è già stato ampiamente discusso – si legge nella consulenza depositata nel processo – e non si può non essere perplessi per l’attuazione di un test che non ha nulla a che fare con la gestione penitenziaria ma è utile per la difesa penale, e per una intensiva rilettura del caso fatta con l’imputata di un così grave reato. L’impressione che si trae da tutto questo – scrivono i consulenti – è che ciò renda tra l’altro ormai inutile qualsiasi esame peritale, perché valuterebbe non i vissuti della persona, ma ciò che la stessa ha riferito di avere appreso e discusso nel lavoro con le psicologhe, unitamente al suo deresponsabilizzante convincimento di essere lei stessa una bambina, sempre espresso dalla psicologa».

Una replica è arrivata dall’avvocata Pontenani, che ha insistito nel chiedere una perizia terza: «Sono desolata da questo terrore dimostrato per un accertamento peritale. Non ho capito se i pubblici ministeri stiano accusando la difesa di Alessia Pifferi, anche quella precedente, e le psicologhe del carcere, ma se Pifferi è davvero così malleabile allora c’è una contraddizione». Si torna in aula il 13 novembre per il conferimento dell’incarico al professore Elvezio Pirfo.

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