Il calcio mondiale perde un mito: era il portiere che giocava senza guanti nella mitica Olanda degli anni ’70. Jan Jongbloed aveva 82 anni ed era malato da tempo

Jan Jongbloed, portiere dell’Olanda nelle finali dei Mondiali del 1974 e del 1978, è morto all’età di 82 anni. Era malato da tempo, ed era stato costretto a superare una terribile tragedia nel 1984: suo figlio Eric-Jan morì a causa di un fulmine che lo colpì mentre era in campo durante una partita amatoriale. Un altro dramma per Jongbloed, che aveva dovuto interrompere la propria carriera a causa di un infarto accusato durante una partita fra Go Ahead Eagles (di cui indossò la maglia dal 1981 al 1986) e Haarlem.

Non è pensabile inserirlo nella lista del primi 10 portieri di ogni tempo. Ma neanche nei 20, e neanche nei 30. Ma di questa graduatoria a Jan Jongbloed, scomparso all’età di 83 anni, sarebbe importato poco. Roba virtuale, poco interessante per un uomo pragmatico che mentre giocava al calcio faceva il tabaccaio, che metteva il pallone sullo stesso piano della pesca e probabilmente un gradino al di sotto della politica. Perché le sue idee comuniste erano più importanti. Jongbloed però aveva dalla sua una cosa per pochi, aver giocato due finali mondiali: la prima in una delle squadre più iconiche della storia del calcio, la Grande Olanda di Johan Cruyff.

Door Wilskracht Sterk, così si chiamava la sua squadra. Massima serie, buon livello, ma al limite del dilettantismo, e quindi la tabaccheria faceva comodo. In nazionale nel 1962 (sconfitta in Danimarca), quando l’Olanda era una piccola aiuola nell’enorme parco del calcio mondiale. L’inizio di una carriera sfavillante si potrebbe pensare. Macché. Jongbloed continuò a giocare in serie A, ma della nazionale nemmeno l’ombra fino alla rivoluzione olandese. Il calcio totale, i ruoli interscambiabili, serviva un portiere diverso: uno che  si adattasse ai modello di Rinus Michaels, che sapesse giocare con i piedi e soprattutto piacesse a sua maestà Joahn Cruyff. Fu così che Jongbloed si ritrovò, quasi senza rendersene conto, a giocare il mondiale in Germania Ovest nel 1974.

 

Non era più con il DSW, ma non è che l’Fc Amsterdam (il suo nuovo club, che ora neanche esiste più) fosse uno squadrone in una epoca dominata da Ajax e Feyenoord. Ruoli interscambiabili, ma anche numeri a caso: Cruyff con il 14 l’unica eccezione, gli altri in ordine alfabetico. Gli toccò l’8, lui cercava di onorarlo con le sue passeggiate per il campo a cogliere margherite: vera concessione poetica per un portiere del tempo. Non usava i guanti (a meno che non piovesse forte), sosteneva gli creassero problemi nel bloccare la palla. Raramente si buttava se riteneva il tiro imparabile. Non lo fece neanche nella gara più importante della sua vita. L’8 luglio del 1974, la finale contro la Germania Ovest: restò in piedi sul rigore di Breitner – un altro un marxista come lui – e sulla girata perfida di Gerd Muller.

Perso quel mondiale, impossibile immaginare di ritrovarselo 4 anni dopo. E invece, incredibilmente, rieccolo in Argentina. Riserva, solo che nella gara per l’ingresso alla finale, Brandts per anticipare Bettega fece non solo autogol, ma distrusse il portiere Schrjivers. Toccò ancora a Jongbloed (che quella volta i guanti li mise), gli azzurri si afflosciarono e vennero ribaltati. Altra finale e stessa storia: ancora la padrona di casa, l’Argentina, a spezzare i sogni olandesi.

Chissà, Jongbloed forse ci sarebbe stato anche 4 anni dopo in Spagna: in fondo era ancora in attività, si divideva tra la tabaccheria e il Go Ahead Eagles. Ma quel ciclo era definitivamente tramontato e per l’Olanda arrivò l’eliminazione nelle qualificazioni ad opera della Francia di Platini.  Smise di giocare a 45 anni per un principio di infarto, ma il suo cuore si era incrinato un paio di anni prima: suo figlio Erik, che come lui difendeva la porta del DSW e come lui amava uscire dall’area di rigore con i piedi, era morto colpito da un fulmine durante una partita. Con lui se ne va un altro pezzo di un calcio ripetuto da tanti, ma fondamentalmente irripetibile nel trasmettere, come diceva lo stesso Jongbloed, quella “percezione estrema del concetto di libertà”.

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