Evghenjj Prigozhin la data della sua morte non è casuale: esattamente due mesi fa si stava compiendo la buffonata del tentato golpe. E Putin lo disse chiaro: “La punizione inevitabile per i responsabili”

Il 23 Giugno le truppe di Prigozhin si asserragliavano a Rostov sul Don e si mettevano in marcia verso Mosca.
La mattina del 24 Giugno, Putin prendeva la parola:
Tutti coloro che hanno deliberatamente intrapreso la strada del tradimento subiranno una punizione inevitabile.
Il 23 agosto, due mesi esatti dopo, l’aereo privato di Evghenjj Prigozhin, RA-02795, si è schiantato nella regione di Tver.
Da alleato a traditore: Putin ha fatto eliminare Prigozhin? Più di un sospetto porta in questa direzione. Del resto, gli errori del capo della Wagner entrato in rotta col Cremlino nei rapporti con Mosca sono stati plateali. E forse hanno contribuito alla sua fine
di Andrea Muratore per Il Giornale

La morte di Evgenij Prigozhin ha portato in auge la possibilità – del resto avallata dagli stessi media vicini al gruppo Wagner – che la caduta del jet privato in cui viaggiava tra Mosca e San Pietroburgo il fondatore della compagnia mercenaria non sia legata a un incidente ma piuttosto a una precisa volontà di eliminare l’ex “Chef di Putin”. Riconducibile ad ambienti legati al Cremlino.

La lunga coda del golpe

Christo Groznev di Bellingcat lo aveva detto pochi giorni fa: tra Vladimir Putin e Prigozhin si sarebbe presto arrivati alla resa dei conti. Troppo grande la ferita aperta con l’intentona del 24 giugno. Troppo dure le parole di Putin, che ha definito “traditori” i mercenari della Wagner. Il potere russo ha memoria d’elefante. Non dimentica a distanza di anni. Figurarsi di poche settimane. La mobilitazione collettiva della guerra d’Ucraina impone alla Russia di trincerarsi dietro la repressione di ogni potenziale mina vagante: per questo tutti i sospetti sulla fine di Prigozhin e sulla decapitazione dello stato maggiore della Wagner vanno verso Vladimir Putin.

Il dramma si è consumato in pochi mesi, dall’inizio del 2023 alla drammatica giornata del 24 giugno. La cui coda è stata la morte di Prigozhin nella giornata di ieri. Lo Zar del Cremlino ha rotto completamente con un suo storico fedelissimo: per Putin, Prigozhin non era solo un fedele alleato e l’esecutore dei suoi ordini. Era un ingranaggio chiave del sistema: al tempo stesso oligarca, affarista, comandante militare strumento di politica estera, condivideva molti arcana imperii della fase di ricostruzione della potenza russa. Prima fra tutte l’era della penetrazione militare in Siria, a partire dal 2014-2015, per la cui copertura fu del resto istituito il gruppo Wagner.

Putin ha coccolato a lungo Prigozhin; lo ha coperto di commesse in ambiti che andavano dalla logistica alimentare per l’esercito ai servizi di mercenariato. Ogni anno Concord, l’azienda di Prigozhin, incassava 2 miliardi di dollari dagli appalti del Cremlino. La Wagner si è distinta con indubbio valore sul campo di battaglia in Ucraina, e Prigozhin a inizio guerra ha dato indubbia prova di fedeltà a Putin. Arrivando a riempire le sue forze di detenuti delle patrie galere da destinare, come carne da cannone, al fronte di aree come Bakhmut in cambio della prospettiva dell’amnistia in caso di sei mesi di servizio. Ma l’ex “Chef di Putin” ha compiuto un errore fatale: mettere in dubbio l’autorità del leader in tempo di guerra. Apertura del redde rationem col Cremlino.

Cosa si è rotto nel rapporto tra la Wagner e il Cremlino

Tra aprile e giugno si è consumata la parte più oscura del dramma: i ripetuti attacchi di Prigozhin al ministro della Difesa Sergej Shoigu sembravano inizialmente addirittura un gioco delle parti con Putin. Volto a mettere all’angolo i generali incolpati di una guerra che non andava, in larga parte, secondo i piani. Poi però Prigozhin ha alzato il tiro: ha chiesto sempre più armi, ha affondato contro i profittatori di guerra e, a inizio giugno, ha messo in dubbio la validità della presunta “operazione militare speciale”. Arrivando a elogiare la combattività degli ucraini, a negare il genocidio in Donbass di cui parla la propaganda russa e ad accusare della guerra un manipolo di “bastardi” destinati a profittarne. Troppo per il Cremlino, che ha atteso l’esplosione di collera del 23-24 giugno per avviare la resa dei conti.

Al Cremlino, indubbiamente, conoscono la conseguenza tra parole e azioni. Putin è sempre stato chiaro su questo: da un’uscita pubblica non si torna indietro. Fu così a febbraio 2022, alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina. Ed è stato così negli ultimi tempi: la definizione di “Traditore” data a Prigozhin non ammetteva retromarce. Segnava col mirino l’ex uomo forte della Wagner. In mezzo, l’unica via di fuga concessa da Putin: la resa incondizionata. Chiesta ufficialmente il 28 giugno nell’ultimo incontro Putin-Prigozhin al Cremlino, in cui lo Zar ha proposto a Prigozhin lo scioglimento della Wagner nell’esercito regolare. Ovvero di certificare la sua fine come personaggio pubblico. Offerta rispedita al mittente da cui deriva, con ogni probabilità, l’accelerazione nella messa fuori gioco di Prigozhin. Il 14 luglio Putin ha dichiarato, citato dal Kommersant, che “la Wagner non esiste”, citando il labile diritto russo che formalmente vieta le compagnie mercenarie.

Una damnatio memoriae che si è consolidata anche con l’accelerazione della diffusione di notizie sui crimini dei galeotti arruolati da Prigozhin, tornati in libertà dopo il servizio al fronte e qui immediatamente recidivi, funzionale per Putin a gettare discredito sull’ex sodale. Mentre al contempo lo smottamento geopolitico in Africa e l’ascesa della giunta golpista in Niger rendeva, sul terreno, sempre più strategico l’operato della Wagner in un territorio chiave. E forse si può arguire che se l’ordine di eliminare Prigozhin è arrivato dal Cremlino, certamente le mosse dell’ex “Chef” riparato in Bielorussia tra Mosca e l’Africa, regione ove la Russia ha grandi interessi, possono essere la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il rischio di una Wagner fuori controllo in Africa potrebbe aver imposto a Putin di ricondurre i mercenari sotto il controllo dello Stato prima che lo “Chef” provasse a usare la sua indipendenza autonomamente dal potere moscovita.

Le mosse di Putin

Non a caso l’aereo privato di Prigozhin è caduto in Russia poco dopo l’ultimo videomessaggio del leader mercenario, inviato proprio dall’Africa. E potrebbe essere più di un segnale. Putin temeva che Prigozhin potesse metterlo in difficoltà defezionando? Temeva che mantenerlo in vita potesse costituire una mninaccia grave alla sicurezza del suo potere? O ha voluto, in forma più prosaica, riaffermare la legge del più forte contro il “traditore”?

Aggiungiamo un’ultima nota: con la controffensiva ucraina in atto, Putin voleva con ogni probabilità riaffermare la sua fiducia nei vertici militari, ora più che mai vitali per il suo potere. E mandare un messaggio chiave a possibili nemici del suo potere: “Abbattere un business jet è anche un messaggio per le élite russe, che fanno molto affidamento sull’aviazione privata per spostarsi nel paese. Se Putin è disposto a raggiungere e uccidere Prigozhin in pieno giorno sulla Russia, nessuno è al sicuro”, ha scritto The Atlantic che parla di “omicidio di Stato” per la morte di Prigozhin. Nella Russia delle morti sospette nelle élite che si rincorrono da inizio guerra, Putin vuole riaffermare la sua supremazia? Le presidenziali del 2024 si avvicinano giorno dopo giorno e il capo di Stato vuole puntare a un nuovo mandato con il sostegno di opinione pubblica e Stato profondo. L’eliminazione di Prigozhin può mostrare che al Cremlino c’è, ancora, un uomo desideroso di essere solo al comando. Ma anche mostrare fragilità e lotte interne in un impero dal cuore sempre più conteso.

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