Michela Murgia morta per colpa di chi le voleva male: il parassita Giannini con un farneticante ragionamento pretende di santificare una che ha insultato chiunque fino all’ultimo giorno

Estratto dell’articolo di Massimo Giannini per “la Stampa”

[…] Murgia mancherà a questo Paese, che non l’ha mai amata e capita abbastanza.

Almeno, non come avrebbe meritato. E lei ne ha sofferto, in cuor suo, perché aveva fragilità nascoste che solo chi la frequentava poteva conoscere. Donna totalmente e irriducibilmente libera, prendeva posizione su tutto, da Meloni al Pd, dalla Bibbia all’opera lirica, senza mai arretrare e senza mai fermarsi di fronte alle critiche o ai conformismi. Ma l’odio social che spesso le si riversava contro le procurava un dolore persino fisico.

Capitava che le chiedessimo di scrivere commenti per il nostro giornale, di cui inevitabilmente era diventata subito una grande firma, e lei rispondeva: «Scusami, non ce la faccio, troppa cattiveria, mi manca il respiro da settimane, sono arrivata al punto di vomitare più e più volte al giorno, per il male che mi fanno».

Questo la gente non lo sa e non lo immagina. Neanche i miserabili che in politica e nel giornalismo avevano fatto di lei una vittima sacrificale, da esibire ogni volta sull’altare dell’intolleranza ideologica e del risentimento sociale. Ma poi alla fine il suo impegno civile, la sua smodata passione per la vita in tutte le sue declinazioni, pubbliche e private, vinceva su tutto.

E la sua curiosità inesauribile per il nuovo, la sua convinzione lucidissima e ferrea di poter incidere sulla realtà, per cambiarla senza subirla, avevano la meglio sulla stanchezza e la durezza della battaglia quotidiana. Che andava combattuta sul Web, perché quello ormai era il terreno dello scontro che Michela aveva scelto […]

[…] Ha fatto della sua vita, e poi anche della sua morte, una testimonianza continua e inesausta. I diritti sono stati il suo pane quotidiano. Tutti quelli che sappiamo, e che l’hanno resa paladina degli ultimi, dei deboli, dei discriminati. Si è nutrita di tutto ciò che non è estraneo all’umano.

Tutto. E di questa fede, che per lei era anche in Dio ma poi era soprattutto nelle persone, ha nutrito anche noi. Finché ha potuto. Non era convinta di guarire: tutt’altro. Ma forse neanche di morire. Almeno non fino a qualche mese fa. Era solo sicura di voler vivere anche la malattia come aveva vissuto tutto il resto: come una parte di sé, da affrontare come tale. […]

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