Il sostituto procuratore della Corte d’Appello di Milano, Cuno Tarfusser, ne è certo: Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati in via definitiva all’ergastolo per la strage di Erba del 2006, sono innocenti.
Per questo ha avanzato richiesta di revisione del processo perla morte di Raffaella Castagna, del figlio Youssef Marzouk (appena due anni), della nonna del piccolo, Paola Galli, e di una vicina di casa, Valeria Cherubini. In particolare, la macchia sangue di quest’ultima, trovata sul battitacco dell’auto di Olindo, non sarebbe la prova regina della colpevolezza dei coniugi, bensì la prova regina della loro innocenza. «Salvo che non si attribuisca loro delle doti miracolistiche. Quelle cioè essere riusciti a non lasciare alcuna loro traccia sul luogo dove hanno scatenato una sfrenata rabbia lasciando un bagno di sangue e di essere riusciti a non portare alcuna traccia del crimine appena commesso nelle loro pertinenze», spiega il procuratore tra le righe delle 58 pagine dell’atto.
La richiesta di revisione del processo da parte del magistrato si esprime «in tutta coscienza, per amore di verità e di giustizia e per l’insopportabilità del pensiero che due persone, probabilmente vittime di errore giudiziario, stiano scontando l’ergastolo». A essere contestato è anche il fatto che non si sia mai indagato su altre piste. Lacune anche nelle intercettazioni. L’innocenza dei due sarebbe stata chiara fin dal primo grado. Nel suo atto, infatti, il procuratore milanese scrive che «moltissimi erano gli elementi sarebbero stati idonei, se solo valutati dai giudici, a giudicare inattendibile la prova del “riconoscimento” (quindi la “falsa memoria” di Mario Frigerio), fortemente dubbia la prova della “macchia di sangue” e indotte con modalità che definire poco ortodosse è fare esercizio di eufemismo, le “confessioni”, trattate invece alla stregua di prove regine». A 17 anni da quella tragica serata, la scienza potrebbe ribaltare tutto. Ma perché Olindo Romano e Rosa Bazzi si sono dichiarati colpevoli?.
«Le dichiarazioni auto accusatorie sono da considerarsi false confessioni acquiescenti. Tali conclusioni si fondano sui più recenti e avanzati dati scientifici che corrispondono ai criteri che, se mancanti, rendono le confessioni false confessioni», scrive Tarfusser. La richiesta di revisione si basa su due ipotesi previste dal codice di procedura penale: «La scoperta di nuove prove» dopo la condanna e la dimostrazione che questa fu «in conseguenza anche di falsità in atti o in giudizio».
Estratto dell’articolo di Gianluigi Nuzzi per “La Stampa”
La strage di Erba, dopo aver già conquistato il primato di peggiore carneficina del nuovo millennio nel nostro Paese, colleziona un’altra inquietante peculiarità: un sostituto procuratore generale dopo aver letto gli atti chiede che il processo venga riaperto, affatto convinto che Rosa e Olindo siano davvero gli assassini di quei quattro innocenti ammazzati la sera dell’11 dicembre 2006 a Erba.
Un documento analitico, frutto di mesi di lavoro quello che il sostituto Cuno Tarfusser […] ha elaborato, dopo aver incontrato gli avvocati di Rosa e Olindo, i due che stanno scontando l’ergastolo dopo la pronuncia definitiva della Cassazione nel 2011. Una richiesta sollevata «in tutta coscienza per amore di verità e di giustizia e per l’insopportabilità del pensiero che due persone, probabilmente vittime di errore giudiziario, stiano scontando l’ergastolo».
La conclusione è netta: «Fin dal primo grado c’erano prove della loro innocenza». Il documento è ora sulla scrivania del procuratore generale Francesca Nanni perché sta a quest’ultima decidere se vistarlo e trasmetterlo a Brescia per il vaglio della Corte d’Appello sull’eventuale revisione, oppure archiviarlo non ritenendolo condivisibile.
Nel documento Tarfusser valorizza elementi controversi su tutte le tre prove principali che portarono all’ergastolo. Si parte dalle macchie di sangue della vittima sull’auto usata dagli imputati, che sarebbe in realtà un effetto ottico, al riconoscimento e l’identificazione di Olindo da parte di Mario Frigerio, unico testimone della strage, che sarebbe compromesso dai “buchi” nelle intercettazioni e, da ultima, la confessione stessa della coppia che poi ha ritrattato.
L’auto accusa dei coniugi, per il magistrato, sarebbe «da considerarsi false confessione acquiescente», la testimonianza di Frigerio una «falsa memoria» legata al «peggioramento della condizione psichica» dell’uomo e alle «errate tecniche di intervista investigativa».
Osservazioni, sottolinea il magistrato, che «se approfondite e valutate, avrebbero già sin dal giudizio di primo grado potuto portare ad un diverso esito processuale».
[…] Tarfusser ha cioè maturato dubbi sull’istruttoria ancora prima di valutare le “nuove prove” che gli avvocati di Rosa e Olindo hanno raccolto negli ultimi anni, contando su numerosi consulenti ed esperti. Sembra infatti che Tarfusser si sia sorpreso di numerosi dettagli a iniziare dal fatto che Rosa e Olindo vennero sentiti addirittura da quattro pubblici ministeri.
Per capire la portata di questa mossa di Tarfusser è forse davvero la prima volta dal 1930, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale nella storia della nostra giustizia, che un sostituto procuratore generale – e quindi chi rappresenta l’accusa – ponga dei dubbi sulla colpevolezza dei condannati, sollecitando la revisione e la riapertura del dibattimento. In genere, infatti, è l’imputato a chiedere un nuovo processo.
[…] si tornerebbe a quelle ore, alla sera delle atrocità, a quei 76 colpi inferti con spranghe e due coltelli, l’11 dicembre 2006 quando in una delle palazzine di via Armando Diaz 25 a Erba vennero ammazzate quattro persone: Raffaella Castagna (30 anni), il figlio Youssef Marzouk di appena due anni, la nonna del bimbo, Paola Galli di 60 anni, e una loro vicina, Valeria Cherubini di 55 anni che viveva con il marito Frigerio al piano superiore, in una mansarda.
Ed è proprio Frigerio l’unico a rimanere in vita. E questo grazie a una assai particolare malformazione congenita alla carotide che gli impedisce di dissanguarsi. E così Frigerio diverrà il testimone chiave dell’accusa, quello che, recuperate le forze, punterà l’indice contro Rosa e Olindo.
I due, a gennaio del 2007, confesseranno la strage con parole da pelle d’oca. Quando i pm chiedono a Rosa: «Il bambino perché lo ha ucciso?», lei senza battere ciglio risponde: «Perché urlava… (…) perché piangeva e mi dava fastidio… mi aumentava il mal di testa quando lo sentivo». Olindo: «No, è stato come ammazzare un coniglio, se l’è meritata».
Rosa e Olindo andranno poi a ritrarre, accusando di esser stati indotti a confessare, senza però essere creduti. Olindo: «Non ho fatto altro che dirgli le notizie apprese tramite i giornali» mentre la procura osserva come nei ricordi dei due messi agli atti abbondino «particolari significativi riferibili solo da soggetti che abbiano effettivamente vissuto la scena del crimine».
A questo punto, diventa importante non solo che venga fatta chiarezza ma che questo avvenga in tempi rapidi e in modo definitivo. Non si possono lasciare le vittime e i loro parenti rimasti in vita con dubbi di questo tipo. In pochi giorni, al massimo una o due settimane, il procuratore di Milano Nanni deciderà se vistare e condividere le venti pagine firmate da Tarfusser dopodiché bisognerà capire se e cosa faranno i giudici a Brescia. Anche perché è sempre stato ritenuto improponibile solo ipotizzare che gli autori della strage siano da cercare tra le persone che non abitavano nella stessa palazzina e le prove contro Rosa e Olindo ad oggi sono state sempre ritenute granitiche e tali da convincere giudici di ogni ordine e grado.
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