Aspirina, a chi serve davvero per prevenire infarto e ictus: si studiano test mirati per capire chi è più a rischio di effetti collaterali

Prescrizione personalizzata in prevenzione primaria. E si studiano test mirati per capire chi è più a rischio di effetti collaterali

Per la prevenzione secondaria, cioè dopo un primo evento come infarto o ictus, non ci sono dubbi. L’acido acetilsalicilico è una sorta di “pietra miliare” per ridurre il rischio di nuovi episodi, grazie alla sua attività antiaggregante piastrinica. Ma in prevenzione primaria, quando cioè quell’evento non si è ancora verificato, come si sceglie chi può trarre maggiore giovamento dal farmaco senza correre eccessivi pericoli di sanguinamenti o emorragie vere e proprie? Al momento la scelta è soprattutto basata sul rischio cardiovascolare del singolo, che guida l’approccio. Ma in futuro, si dovrà arrivare a definire un vero e proprio “fenotipo”, ovvero le caratteristiche del singolo soggetto, per definire chi davvero può avere il massimo giovamento, con rischi minimi, dal trattamento con aspirina in prevenzione primaria. A disegnare questo percorso, che potrebbe rappresentare una svolta nella profilassi antiaggregante personalizzata, è Jeffrey S. Berger, della NYU Grossman School of Medicine, attraverso un editoriale su Jama Network Open.

La soluzione della questione può venire solo da studi specifici per l’uso più appropriato dell’acido acetilsalicilico in prevenzione primaria che vadano oltre il semplice concetto di rischio cardiovascolare globale (quindi in pratica una sommatoria del “peso” dei vari fattori che mettono in pericolo il cuore, dal sovrappeso al fumo fino a diabete e ipercolesterolemia), per definire meglio lo specifico profilo del soggetto sotto l’aspetto della coagulazione del sangue.

Come individuare con precisione chi può avere il massimo vantaggio da questo approccio? Secondo l’esperto, in futuro, grazie a test specifici come l’analisi del trascrittoma piastrinico, si potranno individuare i soggetti che più possono essere sensibili ad avere reazioni, con conseguente personalizzazione del trattamento. Ma al momento per la diffusione di questa tecnica che si basa su esami del sangue, così come per l’aggregometria a trasmissione luminosa, test specifico per misurare la funzione delle piastrine, pensare ad un impiego su larga scala è prematuro. Quindi saranno necessari studi specifici – alcuni sono già in corso – per arrivare a limitare il più possibile i potenziali effetti collaterali e ottimizzare l’effetto che riduce i pericoli che si formino aggregati in grado di ostruire le arterie.

Il tutto dovrebbe portare ad una sorta di “firma” genetica che consentirà di individuare soggetti con piastrine particolarmente “reattive” o con malattie mediate da queste unità del sangue per equilibrare fin dall’inizio benefici e rischi della cura con aspirina a dosi ridotte. Insomma, si va verso la prevenzione su misura. “Credo che la comprensione di questi modelli genetici di iperattività piastrinica guiderà alla fine la scelta di terapie antipiastriniche ottimali per prevenire gli eventi cardiovascolari – conclude l’esperto”. Ad oggi, le linee guida sull’impiego dell’aspirina in prevenzione primaria cercano di caratterizzare meglio possibile chi nella popolazione potrebbe trarre i maggiori vantaggi dal trattamento profilattico. Il tutto, ovviamente, sulla scorta della valutazione del medico sul singolo malato e del rapporto medico-paziente.

Le raccomandazioni americane

L’American College of Cardiology e l’American Heart Association raccomandano che l’uso di aspirina a basse dosi possa essere preso in considerazione per la prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari legate ad aterosclerosi tra adulti selezionati tra 40 e 70 anni a rischio più elevato ma non ad aumentato rischio di sanguinamento. Non prevedono invece l’impiego per la prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari negli over-70 e in chi ha maggiori rischi di sanguinamento.

Ma l’Europa non è d’accordo

L’ESC, Società Europea di Cardiologia, suggerisce che tra gli individui a rischio cardiovascolare molto elevato, l’aspirina a basso dosaggio possa essere valutato anche in prevenzione primaria. “Pensare ad una personalizzazione accurata sulla base di specifici esami per l’impiego dell’acido acetilsalicilico a basse dosi in prevenzione primaria è prematuro: certo questo approccio è fondamentale nella prevenzione cardiovascolare – sottolinea Massimo Volpe, Presidente della Società Italiana di Prevenzione Cardiovascolare (Siprec) – ma ci sono molti aspetti che debbono essere chiariti da studi specifici: basti pensare solamente a chi scopre di avere placche aterosclerotiche, magari senza sintomi, durante una Tac eseguita per altri motivi. In questo caso l’impiego profilattico dell’acido acetilsalicilico ha sicuramente significato per il paziente, anche se non viene “sancito” nelle linee guida. In questa condizione, solo in Italia, ci sono centinaia di migliaia di persone. Bisogna sempre privilegiare il rapporto medico-paziente e la conoscenza del medico. Ci sono casi in cui, anche a prescindere dalle linee guida, occorre seguire il trattamento affiancandolo alle terapie per gli altri fattori di rischio. Il tutto, nell’attesa di test per personalizzare al massimo la terapia”.

Scavalca la censura di regime dei social. Seguici via Telegram, basta un clic qui >https://t.me/capranews

Total
1
Shares
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Previous Article

Madonna di Trevignano, il capolavoro della finta veggente: come ha portato a casa la bellezza di 123mila euro da un singolo credulone

Next Article

Lutto per la musica mondiale. È morto lo storico componente degli Abba, l’addio della band: «Eri fulcro delle nostre vite»

Related Posts