Caso Soumahoro, ai tempi si Salvini il Ministero dell’Interno aveva segnalato al comune gestito dal PD che la gestione era sospetta: se ne fregarono

Estratto dell’articolo di Clemente Pistilli per www.repubblica.it

Quattro anni fa era già nota la “grave” situazione in cui versavano alcuni centri per migranti gestiti dalle coop della suocera e della moglie del deputato Aboubakar Soumahoro. Lo aveva accertato il Ministero dell’Interno e l’Ufficio III della Direzione centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo lo aveva specificato in un documento inviato al Comune di Roccagorga, piccolo centro dei Lepini in cui la cooperativa Karibu ha mosso i primi passi.

Tanto Karibu quanto il Consorzio Aid, a cui ora il ministro dello sviluppo economico Adolfo Urso ha deciso di staccare la spina e su cui è in corso una complessa inchiesta della Procura della  Repubblica di Latina, hanno però continuato a incassare milioni di euro fino a quando lavoratori che da due anni non prendevano lo stipendio si sono rivolti alla Uiltucs e sono spuntate storie di minorenni stranieri costretti a vivere senza cibo, acqua e luce, facendo esplodere lo scandalo.

Era il 31 dicembre 2019 quando venne inviata dal Viminale una pesante nota al Comune di Roggagorga, all’epoca amministrato dalla sindaca PD Carla Amici, sorella dell’ex sottosegretaria Sesa. Riferendosi al progetto Sprar 2014-2016, ammesso al finanziamento, il Ministero specificò che la seconda visita di monitoraggio effettuata il 26 e 28 novembre 2018 era sfociata in una serie di prescrizioni per via delle “criticità rilevate”, imponendo all’ente locale di allinearsi entro 20 giorni.

Nella nota, che Repubblica ha potuto esaminare, il Viminale aggiungeva che dal Comune non era arrivato alcun riscontro a quelle prescrizioni e che, “tenuto conto della gravità della situazione emersa”, lo stesso doveva ottemperare. In caso contrario, veniva evidenziato, l’ente locale avrebbe subito una decurtazione di 18 punti, “penalità che potrà comportare la revoca del finanziamento”.

Il linguaggio è burocratico, ma il quadro che aveva il Ministero dell’interno delle strutture dove erano ospitati i migranti sembra chiaro. Al dicastero, all’epoca retto dal leghista Matteo Salvini, risultava il “mancato rispetto della percentuali di posti destinati al sistema di protezione indicate nella domanda di contributo” e la “mancata corrispondenza tra i servizi descritti nella domanda di contributo e quelli effettivamente erogati”, oltre soprattutto alla “mancata  applicazione di quanto previsto dalle linee guida anche in termini di standard qualitativi e quantitativi”.

Qualcosa che sembra estremamente simile a quanto riferito da diversi migranti dopo che è esploso lo scandalo e su cui sta indagando la magistratura.

Il Viminale aveva anche sostenuto che quei problemi avrebbero potuto comportare “il venir meno dell’intero impianto progettuale e degli standard di accoglienza integrata”, lamentando pure la mancata trasmissione della rendicontazione 2017, mancando il certificato del revisore “che accompagna obbligatoriamente le spese sostenute”.

Una nota durissima, che non ha però appunto ostacolato le cooperative di Maria Therese Mukamitsindo e della figlia Liliane Murekatete. […]

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