Meloni porta al governo il compagno della sorella e Repubblica rosica, dimenticando che Lollobrigida non ha fatto carriera grazie a lei, mentre due settimane fa i leader della feccia han fatto entrare nelle liste bloccate mogli e mariti

Francesco Merlo per “la Repubblica”

Più efficace del «lei non sa chi sono io», forse in Italia c’è solo il «lei non sa chi è mio cognato» che però è anche maledetto, come insegna la fucilazione a Dongo di Marcellino Petacci, il fratello di Claretta. Ed è un peccato che Giorgia Meloni, che pure ha imparato tanto da Gianfranco Fini, il quale, dicono, segretamente la consiglia ancora adesso – consulente in abiura soprattutto – da lui non abbia imparato a tener lontana la famiglia, estesa sino agli acquisiti, appunto, che cominciano bene e finiscono male.

È vero che in nient’ altro si somigliano, il Giancarlo Tulliani di Fini e il Francesco Lollobrigida della Meloni, se non per l’aria presuntuosa di parentela, che non è sangue e non è Dna, ma è una qualità dello spirito, come una categoria kantiana, la “cognateria”, che prevede sempre un po’ di sfoggio e di gradasseria, persino innocente. Tulliani, per dire, non sapeva che avrebbe fermato la trasformazione del postfascismo in destra moderna lavando la Ferrari con un tubo attaccato alla fontana.

La posteggiava davanti al portone della famigerata casa di Montecarlo che gli aveva dato il cognatone. Più modesto, Lollobrigida ieri ha avuto dalla cognatina soltanto un ministero, l’Agricoltura, con il nome tutto nuovo di Sovranità alimentare, copiato dal francese Ministère de l’Agricolture et de la Souveraineté Alimentaire, ministro della pasta e della pizza e marito di Arianna Meloni. Anche se è sicuro che Lollobrigida non l’ha mai pronunciata la brutta frase «lei non sa chi è mia cognata» è lì che entra da Padreterno, nel gioco dei cognati.

C’è Pillitteri, per esempio, di professione cinefilo, che divenne sindaco di Milano perché sposò la sorella di Bettino, la simpatica e innocentissima Rosilde. E mal gliene venne. E sfido chiunque nel gioco di ricordare i nomi dei cognati di Di Pietro, di De Mita o di Bertolaso con le loro prepotenze e i loro guai. Quale cognato inguaiò Diego Anemone? E Piermarini? E di chi è cognato Andrea Dini? E Gabriele Cimadoro? È incredibile come ci si ritrovino tutti nel familismo, anche a sinistra dove Dario Franceschini e Nicola Fratoianni hanno in Parlamento le rispettive mogli Elisabetta Piccolotti e Michela Di Biase.

E ti accusano pure di misoginia se ti permetti di notare che anche a sinistra l’Italia si fonda sulla famiglia. Nelle università e nelle professioni la logica del cognome prevale anche sul merito. E l’impresa capitalista non è società per azioni, ma per parenti. Al punto che qualsiasi cronista, alle cinque domande base del giornalismo – chi? che cosa? dove? quando? perché? – aggiunge: «di chi è figlio?, di chi è moglie?».

Si devono al “pasticcio famiglia” le carriere delle vedove e degli orfani: sono parlamentari i parenti delle vittime. Alla stessa persona una volta non si perdona di essere troppo “figlio di” e un’altra di non esserlo abbastanza. Il codice è vagamente sciita, da prefisso “bin”: binCraxi, bin-Berlusconi, binTognazzi, bin Gassman. E però il cognato è sempre bello e sfortunato, come il genero, il cui prototipo è Galeazzo Ciano, il marito di Edda.

Già prima di farlo giustiziare a Salò, il duce lo insolentiva. Si racconta che solo ai nazisti, quando si lamentarono di lui, un giorno gridò la verità: «Macché ministro degli Esteri, quello mio genero è». Voleva salvarlo? È del 1945 l’aforisma di Leo Longanesi: «La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta, tengo famiglia». E Edward C. Banfield pubblicò nel 1958 il suo famoso libro su quel familismo amorale ( The Moral Basis of a Backward Society) di cui per primo scrisse Antonio Giuseppe Borgese nel 1937 nel suo Golia o La marcia del fascismo (La nave di Teseo), il libro con il quale in inglese spiegò l’Italia fascista agli americani: «Non avendo una società nazionale gli italiani si ridussero a una forma di vita sociale minima ed elementare: la famiglia».

E chissà quant’ è grande la famiglia- nazione della neofita affamata di potere Giorgia Meloni che ha portato al governo pure Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica aministrazione, il grande nome a sorpresa del suo governo. I cronisti si sono guardati: parente? Fratello. Eh già, nel familismo c’è pure il «lei non sa chi è mio fratello», che è il titolo di un magnifico libro di Franco Bungaro e Vincenzo Jacomuzzi, pubblicato dalla Sei. Si comincia dalla A di Alighieri. Dante? No, Francesco, che qualche ragione ce l’aveva per dire: «Lei non sa chi è mio fratello ». j Insieme Giorgia Meloni con il cognato Francesco Lollobrigida, neoministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare.

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