“E’ vigliacca, ha lasciato che il destino si sbarazzasse della figlia” Alessia Pifferi, le motivazioni durissime dell’accusa nel chiedere l’ergastolo

Luigi Ferrarella per corriere.it – Estratti

«Io non ho mai avuto dubbi dall’inizio», ma anche il consulente psichiatrico d’ufficio ha concluso che, «qualunque sia il deficit cognitivo di Alessia Pifferi, non incide e ha inciso sulla sua capacità di intendere e volere», e che non solo i test somministratile in carcere dalle psicologhe di San Vittore «non furono fatti in maniera appropriata e non sono attendibili», ma anche che Pifferi «simulava».

Il pm Francesco De Tommasi chiede alla Corte d’assise di Milano di condannare al carcere a vita Alessia Pifferi, imputandole il reato di «omicidio volontario pluriaggravato» nell’aver lasciato la figlia di 18 mesi, Diana, sola in casa a morire disidratata con appena «due biberon di latte, due bottigliette d’acqua e una di “teuccio”», dal 14 al 20 luglio 2022.

Ad avviso del pm, infatti, l’imputata, che in quei giorni aveva lo scopo non di uccidere la figlia ma «di divertirsi e avere i suoi spazi in vacanza» con l’allora suo compagno, in giudizio non deve rispondere di morte della figlia come aggravante del reato di «abbandono di incapace» (da 3 a 8 anni): non ha cioè solo accettato il rischio dell’evento-morte, ma, essendo certa la probabilità che una bimba di 18 mesi morisse se lasciata sola per giorni, con dolo diretto ha accettato l’evento-morte della bimba pur di perseguire il proprio scopo di stare con il compagno.

E le tre aggravanti del rapporto di filiazione (madre-figlia), dei futili motivi (assoluta sproporzione tra ciò che succede e i motivi per cui succede), e della premeditazione su cui l’accusa insiste («Pifferi è vigliacca in questo, lascia fare agli eventi, lascia che sia il destino a sbarazzarsi della figlia»), combinate al reato di omicidio volontario (pena non inferiore a 21 anni), producono nell’aritmetica giudiziaria appunto l’ergastolo proposto dal pm.

L’ha fatto per essere una diva, una persona al centro dell’attenzione. E oggi, sia pure a scapito di una bambina, in un certo modo ci è riuscita».

«Presa dai morsi della fame, la bimba ha cercato di mangiare il pannolino mentre la madre era fuori a divertirsi, era corsa dal suo compagno e l’aveva lasciata là da sola», afferma il pm scorrendo i racconti delle prime persone entrate in casa.

«A nemmeno 18 mesi è morta di fame e sete dopo sofferenze atroci e terribili con un processo di progressivo indebolimento delle funzioni vitali: era supina nella culla, gli occhi infossati, la bocca scura, segni già di decomposizione alle mani e piedi, sono i dettagli della mortificazione di una bambina.

Ci vuole stomaco (a considerare queste circostanze, ndr), ma dobbiamo avere il coraggio di farlo», si rivolge palesemente il pm ai giudici popolari, chiedendo loro di tenerlo presente quando «l’imputata vi chiederà legittimamente di essere più clementi, più miti nei suoi confronti». Invece l’imputata, ad avviso del pm, «utilizza le bugie per eludere gli ostacoli che la vita le pone di fronte ogni giorno, e per soddisfare i tanti desideri che ha e per i quali cerca di apparire diversa».

(…) Pifferi oggi ci è venuta a dire che non è un’assassina: ma allora perché ha voluto sempre giustificare con tutti che Diana a 18 mesi non fosse sola in casa? Perché sapeva benissimo che era una cosa che non si fa, lo sa anche un bambino che è un comportamento gravissimo». Del resto, è la convinzione del pm, «durante questo processo Pifferi ha studiato, si è ingegnata, ha capito come si formano le valutazioni in un giudizio penale: e ora vi dice cose solo con lo scopo di evitare la sanzione più grave e ottenere qualche vantaggio processuale».

La difesa: deficit di sviluppo intellettivo

Mentre per la difesa l’imputata ha «un deficit di sviluppo intellettivo di grado moderato» che non le avrebbe fatto provare empatia, né accorgersi dei bisogni e della sofferenza degli altri, né prevedere e collocare nel tempo le conseguenze dei propri atti…

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