La Ducetta fa la furbetta? Mentre si fa lisciare il pelo da Biden si scopre che, di nascosto, con la massima cautela, si sente costantemente con Donald Trump

Simone Canettieri per il Foglio – Estratti

Il silenzio, gli squilli, poi irrompe una voce graffiante: “Hello, Giorgia”.

“Hello, Donald”. Contatti segreti, ma periodici. Che segnalano un filo sotterraneo che Meloni sta tenendo con Donald Trump, candidato dei Repubblicani alla Casa Bianca. Sono telefonate dirette, quelle avute anche di recente dalla presidente del Consiglio con il tycoon.

Il Foglio è in grado di ricostruirle. Conversazioni che non passano, per forza, dall’ufficio diplomatico di Palazzo Chigi (e in particolare dal “delegato” agli Usa, il ministro plenipotenziario Alessandro Cattaneo). Ma di cui, per esempio, è bene a conoscenza il tentacolare capo di gabinetto della presidente del Consiglio, Gaetano Caputi.

Meloni e il suo braccio ambidestro Giovanbattista Fazzolari (che per inciso è anche figlio di un diplomatico) sanno che si tratta di nitroglicerina.

Telefonate che non devono esistere” – nemmeno nei registri – né essere rese pubbliche. I rapporti con Trump vanno maneggiati con la massima cautela: le controindicazioni sono tantissime. La prima, quasi banale: la premier italiana è la presidente di turno del G7, che ospiterà in Puglia a giugno.

E inoltre i rapporti con il presidente Usa Joe Biden nella forma, e nel merito, vengono definiti, da fonti diplomatiche, “più che buoni” (come dimostra anche la prossemica dell’ultima visita della premier a Washington e le conseguenti immagini nello Studio ovale). Ieri, per dire, il sottosegretario Alfredo Mantovano, a Vienna, ha incontrato Antony Blinken a margine della sessione annuale sugli stupefacenti.

L’ultima volta che Meloni ha sentito Trump è stata a ridosso delle ore convulse che hanno portato all’autorizzazione del trasferimento in Italia di Chico Forti, detenuto da 24 anni in America con l’accusa di omicidio anche se l’ex velista si è sempre detto innocente.

(…) “Certe cose si fanno, ma non si dicono”, raccontano sibillini nelle stanze di Palazzo Chigi. Soprattutto quando osservano il movimentismo del vicepremier Matteo Salvini. Il capo della Lega – che nel giugno del 2016 in maniera abbastanza rocambolesca riuscì a strappare qualche selfie a The Donald al contrario della missione andata a vuoto nel 2019 – da quando sono iniziate le primarie è scatenato. Tweet e post su Facebook, con cadenza regolare. L’ultimo il 3 marzo quando ha gioito per la vittoria di Trump ai Caucus in Idaho dopo i risultati in Michigan e Missouri. Mercoledì Salvini ha pubblicato la foto della colazione informale avuta con l’ex segretario di stato Mike Pompeo.

Un modo per esserci e soprattutto per farsi vedere, è stato il commento (graffiante) uscito da Palazzo Chigi dove chi di dovere sapeva benissimo della presenza a Roma di Pompeo. La “disciplina Meloni”, o meglio le sue lezioni americane, vanno nella direzione opposta: certe cose si fanno, ma non si dicono, appunto. Così come le telefonate con il Repubblicano che “non devono esistere”.

Tuttavia la “Fiamma magica” è così convinta dell’esito delle presidenziali di novembre da continuare a curare le relazioni con cautela, ma anche efficacia. Come dimostra la presenza di un pugno di parlamentari di Fratelli d’Italia alla Cpac, la Conservative political action conferenc e che lo scorso febbraio ha celebrato il rampante ritorno dell’ex inquilino della Casa Bianca. In quella occasione Meloni non ha inviato, su consiglio dei diplomatici e di Fazzolari, un videomessaggio al party repubblicano.

Party a cui partecipò nel 2019 e nel 2022, intervenendo dal palco. Esserci senza esporsi nel solco di un’amicizia atlantica che va consolidata istituzionalmente giorno dopo giorno (come dimostra, per esempio, la nomina a sherpa del G7 di Elisabetta Belloni, direttrice dei nostri Servizi, ma con un lungo passato di solide relazioni diplomatiche oltreoceano).

Meloni ha dato la consegna del silenzio sulle presidenziali Usa, costretta a un equilibrismo diplomatico: non può rinnegare la vicinanza ideale ai Repubblicani per non perdere voti, ma neanche ammetterla. In mezzo ci sono troppe partite ormai aperte che la vedono schierata: la guerra in Ucraina e il conflitto a Gaza, le europee e il ruolo della Ue (oggi è attesa a Il Cairo con Ursula von der Leyen), la presenza nella Nato. Dunque basso profilo, anche se il rapporto fra Donald e Giorgia c’è. Così segreto da non dover esistere.

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