“Aveva picchiato un ragazzino trovato in strada durante il lockdown” Condannato penalmente uno sgherro agli ordini della Lamorgese: ci piacerebbe che lo cacciassero con infamia, ma temiamo rimanga al suo posto

di Stefano Baudino per L’Indipendente

È stato condannato a un anno e tre mesi di carcere l’agente di polizia che, a Torino, l’11 novembre 2020, pestò con calci e pugni un ragazzo diciassettenne, fermato perché considerato – ingiustamente – responsabile di una rissa dopo lo scoccare del coprifuoco durante il lockdown. La sentenza è arrivata nel pomeriggio di venerdì scorso. Il poliziotto, ritenuto colpevole anche di aver falsificato a suo vantaggio il verbale, era accusato dalla Procura di Torino – che per bocca del pm Gianfranco Colace aveva chiesto per lui un anno e otto mesi di reclusione – dei reati di lesioni, abuso d’ufficio e falso.

La sera in cui andò in scena il pestaggio, l’Italia si trovava in una fase critica a causa della pandemia, con l’isolamento obbligatorio dopo il coprifuoco delle 18. I poliziotti erano intervenuti perché avvertiti telefonicamente di una rissa tra stranieri nel quartiere Mirafiori Nord. In realtà, non era avvenuta nessuna rissa e quella telefonata era solo una bravata ideata da un gruppo di dodicenni, che scapparono prima dell’arrivo della volante. Nel frattempo, due minorenni estranei allo scherzo scorsero l’auto della Polizia e, trovandosi fuori di casa durante le ore del coprifuoco, provarono a darsela a gambe al fine di non incorrere in sanzioni. L’agente poi condannato, partito all’inseguimento, riuscì a bloccare uno dei due, un 17enne (oggi 20enne) di nome Giulio. Una volta fermato, il poliziotto lo sbatté sul cofano di un’automobile, lo ammanettò e lo pestò. Il ragazzo fu costretto a passare due notti in ospedale. L’agente, nel suo verbale e poi anche in aula, ha dato una versione differente dei fatti, facendo riferimento solo a una caduta accidentale da parte del giovane nel corso dell’inseguimento. «Gli ho intimato di fermarsi, ma lui ha scavalcato la recinzione di un cortile ed è inciampato sul marciapiede – ha detto il poliziotto a processo –. Si sbracciava e così mi ha colpito. Ho dovuto contenerlo mettendolo ventre a terra, con le ginocchia sul costato per avere il tempo di ammanettarlo». A smentire la ricostruzione del poliziotto ci sono però i referti medici, che il giorno successivo al pestaggio attesteranno la tumefazione di uno zigomo, l’incrinatura di una costola e una perforazione al polmone. La consulenza medico-legale dirà chiaramente che le lesioni riportate non erano compatibili con una caduta.

«In questa vicenda, l’ago della bilancia della credibilità pende tutto da una parte, purtroppo. Dico purtroppo perché è triste mettere sul banco degli imputati un servitore dello Stato come noi – ha detto in aula il pm Colace –. Ma su certe vicende non si può chiudere gli occhi e girarsi da un’altra parte: è evidente che ci sia stato un eccesso e che la persona offesa è stata presa a calci e pugni. Lo dicono le conseguenze e non c’è una spiegazione alternativa: è stato un pestaggio gratuito a un minorenne inerme e minuto». La tesi è stata condivisa dai giudici, che hanno comunque comminato all’agente una pena di cinque mesi più bassa rispetto a quanto chiesto dall’accusa.

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