“Il padre di Giorgia Meloni non era un delinquente comune, ma lavorava per il boss della camorra” Report sgancia la bomba facendo nomi e cognomi del clan per il quale lavorava il padre della premier

Giuliano Foschini e Antonio Fraschilla per la Repubblica – Estratti

I rapporti del padre di Giorgia Meloni con il boss campano, ma considerato il Re della droga a Roma, Michele Senese. A parlarne sarà Report in una puntata molto delicata che andrà in onda domenica (su Rai Tre alle 21) e che si concentrerà sui tentativi delle mafie, soprattutto in Lombardia, di tenere contatti con esponenti di spicco di Fratelli d’Italia.

E proprio indagando su questi “rapporti” il giornalista Giorgio Mottola intervista un noto collaboratore di giustizia che parla dei legami tra Senese e Francesco Meloni, padre della presidente del Consiglio scomparso nel 2012 e definito dalla figlia più volte «da tempo un estraneo»: la leader di Fratelli d’Italia ha raccontato nella sua autobiografia di non avere rapporti con lui dal 1988, da quando aveva undici anni.

Adesso racconta a Report di aver conosciuto il padre di Giorgia, Francesco Meloni detto Franco, nei primi anni Novanta: Franco il 25 settembre del 1995, come riportato dalla stampa spagnola, è stato arrestato nel porto di Maó, a Minorca, perché trovato in possesso di 1.500 chili di hashish su una barca a vela. Perrella sostiene di aver chiesto in quegli anni a Michele Senese la disponibilità di importanti quantitativi di hashish. Senese gli risponde in maniera positiva, assicurandolo di avere queste disponibilità: e avrebbe fatto riferimento a un suo uomo che con la barca a vela faceva in quegli anni uno o due viaggi al mese tra la Spagna, il Marocco e l’Italia. Il suo nome è Franco, appunto.

Perrella aggiunge di aver visto quindi Franco con Senese a Nettuno nel 1992. All’inizio non sapeva il cognome di questo contatto di Senese, poi Perrella dopo le notizie riemerse sul padre della presidente del Consiglio ha visto la foto e a Report conferma: «Ho visto che era proprio il papà della Meloni». Il giornalista chiede se è sicuro. E lui risponde: «Si». Perrella, che avrebbe parlato anche ai magistrati di questo Franco dopo l’avvio della sua collaborazione con la giustizia, continua sostenendo che Franco Meloni era finito nel giro dei Senese per un vecchio debito che aveva con il capostipite del clan di Camorra, già dagli anni Novanta presente in forze a Roma nella gestione del traffico di droga.

Come affermato, Giorgia Meloni non ha contatti con il padre dal 1988. La madre, Anna Paratore, dopo la separazione ha una relazione con Raffaele Matano, rimasto socio di Franco Meloni in una srl proprio in Spagna. La presidente del Consiglio, intervistata nella trasmissione tv Belve recentemente ha aggiunto: «Se una bambina di 11 anni decide che il padre non lo vuole vedere più e poi lo fa davvero, evidentemente quest’uomo qualcosa ha fatto. Mio padre ha fatto di tutto per non farsi voler bene, stimare. Faccio fatica a dire che era una brava persona».

Report comunque nella puntata che andrà in onda domenica si concentra soprattutto su alcuni rapporti vischiosi tra personaggi in odor di mafia in Lombardia ed esponenti di Fratelli d’Italia. In particolare Gioacchino Amico, che secondo una indagine della procura di Milano, per conto dei clan di Camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra avrebbe tentato di procacciare affari e costruire relazioni con esponenti di primo della politica lombarda: da qui i contatti con la sottosegretaria Paola Frassinetti e l’eurodeputato Carlo Fidanza, che non sapevano dei suoi legami con i clan. Amico progetta anche di candidarsi a sindaco del Comune milanese di Busto Garolfo proprio con Fratelli d’Italia. Ed è proprio indagando sulle infiltrazioni del clan Senese fuori dalla Campania che Report intervista Perrella che parla quindi del ruolo di Franco Meloni negli anni Novanta per i Senese.

FRANCO MELONI E QUEI 1.500 KG DI DROGA A BORDO DELLA BARCA “CAVALLO PAZZO”.

Giuliano Foschini, Antonio Fraschilla per repubblica.it-Estratti

Quando la polizia spagnola chiese di entrare su “Cavallo pazzo”, la barca di Franco Meloni che aveva appena attraccato in un porticciolo di Minorca, la più piccola delle isole delle Baleari, l’imprenditore romano disse subito: «Tutta roba mia. Avevo bisogno di soldi e ho detto sì ad alcune persone.

Gli altri non ne sapevano nulla». La «roba sua» erano 1.500 chili di hashish, presi chissà dove, e diretti sul litorale romano dove qualcuno aspettava il carico per metterlo sul mercato romano. I magistrati spagnoli però non gli credettero. E così sia lui sia altre tre persone, che con lui viaggiavano a bordo del veliero, furono arrestate e poi condannate: nove anni per lui, quattro agli altri componenti della barca.

La storia da narcotrafficante del padre della presidente del Consiglio per quanto è possibile ricostruire negli archivi giudiziari europei comincia e finisce qui. Quando, già da anni, aveva rotto ogni rapporto con Giorgia e Arianna e conduceva la sua vita in Spagna.

Meloni in quel momento non collaborò, quindi non fu possibile ricostruire chi erano gli “utilizzatori finali” di quel carico, né lui per chi lavorasse. Mai era emerso il nome di un clan, tantomeno quello dei Senese fatto oggi ai microfoni televisivi di Report. La storia giudiziaria racconta di un caso isolato. Repubblica, durante un lavoro durato mesi, aveva però riscontrato una serie di circostanze che potevano raccontare una storia diversa.

Il controllo sulla barca di Meloni non fu infatti casuale. La Polizia spagnola andò a botta sicura, come se ci fosse stata una soffiata. Se qualcuno insomma li avesse avvisati che a bordo di “Cavallo Pazzo” non ci fosse soltanto un imprenditore romano con la passione per la vela. Chi? Alcune informazioni sembrano rafforzare il canale italiano: la Guardia di Finanza aveva in quel momento in piedi un’indagine sul narcotraffico sull’asse Baleari-Italia e potrebbe aver girato l’informazione ai colleghi spagnoli.

Strano, però, che si sia fermati lì: in questi casi si mira non tanto a sequestrare il carico, e arrestare il pesce piccolo, quale sicuramente Meloni era. Quanto piuttosto a risalire la catena. In quel caso non accadde. Ma invece successe un’altra cosa: poco prima della barca di Meloni fu fermato un altro veliero, sempre carico di droga. Dissero di non conoscersi, all’epoca non esistevano indagini tecniche capaci di ricostruire movimenti e collegamenti. Ma in molti ancora oggi sono pronti a giurare: «Non era un viaggio soltanto. Erano due. Meglio: almeno due».

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