La pulizia etnica di Netanyahu: a chi pretende di rifilare gli oltre due milioni di donne e bambini bombardati a Gaza

Estratto dell’articolo di Francesco Semprini per “la Stampa”

Trasferire forzatamente gli abitanti di Gaza in Egitto, agevolando in una seconda fase parte del deflusso verso altri Paesi della regione e non solo. È quanto contenuto in un dossier dal titolo “Policy paper: Alternatives to a political directive for the civilian population in Gaza”, elaborato dal ministero dell’Intelligence israeliano e datato 13 ottobre, ovvero sei giorni dopo l’attacco terroristico di Hamas che ha causato 1.200 morti e il rapimento di 240 persone.

Nel rapporto, il ministero dell’Intelligence – dicastero che conduce ricerche, ma non definisce politiche – propone tre alternative «per imprimere un cambiamento significativo nella realtà civile della Striscia di Gaza alla luce dei crimini commessi da Hamas».

La A prevede che la popolazione rimanga a Gaza e subentri il governo dell’Autorità Palestinese, la B che la popolazione rimanga a Gaza e venga amministrata da un potere arabo locale, la C che la popolazione civile (2,3 milioni prima della guerra) venga evacuata da Gaza al Sinai egiziano.

Il dossier procede poi alle considerazioni sulle rispettive opzioni spiegando che le alternative A e B presentano notevoli carenze, soprattutto in termini di implicazioni strategiche e fattibilità a lungo termine. «Nessuna delle due fornirebbe il necessario effetto deterrente, né consentirebbe un cambiamento di mentalità […]».

I relatori desumono pertanto che «l’alternativa C porti a risultati strategici positivi e a lungo termine per Israele. È l’alternativa praticabile». Nel dettaglio – spiega il dossier – si tratta di evacuare la popolazione civile da Gaza al Sinai.

In una prima fase verranno create tendopoli, quindi è prevista la creazione di un corridoio umanitario per aiutare la popolazione civile di Gaza e la costruzione di città nell’area dei reinsediamenti. Verrà poi realizzata una zona cuscinetto di diversi chilometri all’interno dell’Egitto per disincentivare la popolazione a tornare a ridosso del confine israeliano, oltre a creare un perimetro di sicurezza.

Il rapporto non dice cosa ne sarà di Gaza una volta sgomberata. L’Egitto, nelle disposizioni contenute nel dossier, non sarebbe necessariamente l’ultima tappa dei rifugiati palestinesi. Il documento parla di Egitto, Turchia, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che sostengono il piano sia finanziariamente, sia accogliendo i residenti sradicati da Gaza come rifugiati e, a lungo termine, come cittadini.

[…]  Tra gli incentivi per il buon esito del piano vi sono le pressioni da parte degli Stati Uniti e l’impegno ad utilizzare «l’ombrello di difesa dei gruppi alleati contro l’Iran». Così come il coinvolgimento di Paesi europei, in particolare dell’area del Mediterraneo (tra cui Grecia e Spagna), e del Nord Africa (Marocco, Libia, Tunisia), in termini di “assistenza” alla fase di attuazione.

[…] Secondo fonti vicine alle Nazioni Unite, di cui non è stato possibile avere riscontro oggettivo, un’azienda di costruzioni israeliana, attiva nell’edilizia degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania, avrebbe iniziato a fare pubblicità di progetti residenziali vicini al mare nella zona a sud ovest di Gaza da avviare al termine del conflitto, con tanto di rendering circolati sulle piattaforme social.

Contenuti del dossier erano stati resi noti a fine ottobre dal sito Sicha Mekomit, il quale spiegava che la proposta non solo avrebbe incendiato gli animi dei palestinesi ma avrebbe attirato la condanna dei Paesi arabi e peggiorando le tensioni con il Cairo.

Secondo The Times of Israel il governo di Benjamin Netanyahu ha riconosciuto che uno dei suoi ministeri aveva redatto una proposta, seppur minimizzandola a un esercizio ipotetico, un “documento concettuale”, quindi non vincolante e non oggetto di discussione sostanziale.

Le conclusioni non fanno altro che acuire i timori egiziani di vecchia data che Israele voglia fare di Gaza un problema del Cairo, e sono destinate a far rivivere al popolo palestinese lo spettro di una diaspora, come quella seguita alla guerra del 1948. Occorre inoltre dire che il premier israeliano ha cercato di convincere i leader europei a fare pressione sull’Egitto affinché accetti i rifugiati, trovando l’opposizione delle cancellerie di Francia, Germania e Regno Unito, che hanno definito la proposta non realistica.

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