“Se hai trovato nella società il responsabile, allora assolvi l’assassino” Maurizio Belpietro, che lezione alla feccia che starnazza la parola patriarcato

Maurizio Belpietro per “la Verità” – Estratti

L’assassino di Giulia Cecchettin ha un complice. Anzi, c’è un mandante che ha armato la mano di Filippo Turetta, il giovane che ha ucciso l’ex fidanzata dandosi poi a una fuga in Germania. Il complice, anzi il mandante, si chiama patriarcato.

È lui il vero colpevole di un omicidio senza senso, ammesso e non concesso che mai gli omicidi abbiano un senso. No, lo studente universitario di Padova che ha accoltellato Giulia non è un mostro, ma il figlio sano di una società patriarcale, il prodotto naturale della cultura dello stupro. Lo ha detto domenica sera in tv la sorella di Giulia, Elena. Quando l’ho sentita pronunciare queste parole ho pensato che il dolore ti fa cercare una qualsiasi giustificazione di fronte a un atto che giustificabile non è.

Ma poi ieri ho letto la sua lettera al Corriere della Sera e l’accusa a Filippo, di essere figlio di un sistema patriarcale era ribadita con anche maggior forza, riprendendo le tesi che da giorni va ripetendo la sinistra unita.

Il dolore è il dolore. C’è chi urla, chi piange, chi impreca, chi tace. Ognuno lo esprime come crede e nessuno ha diritto di stabilire cosa sia giusto. O che cosa sia meglio o peggio. Questo vale per le vittime o per i parenti delle vittime.

Ma un politico, un giornalista o anche solo un osservatore ha il dovere di non speculare su una tragedia. Di non usarlo per i propri fini cercando di trarne un vantaggio. Ecco, quando ho letto le dichiarazioni di alcuni onorevoli e di certi colleghi ho pensato a come fosse facile dare la colpa alla cultura patriarcale e quanto fosse semplice in questo modo sgravarsi la coscienza. Ma soprattutto ho capito che anche l’omicidio di Giulia, una ragazza innocente che ha avuto il solo torto di fidarsi e di cadere nella trappola di una persona a cui forse voleva bene ma che a sua volta le voleva male, poteva essere strumentalizzato dai tanti che dicono di essere dalla sua parte. Una strumentalizzazione che rischia di trasformarsi in una assoluzione per il suo assassino.

(…) Non so se quelli che si sono alzati in piedi alle parole di Elena, la sorella di Giulia, ma anche molti esponenti della sinistra, a cominciare da Elly Schlein, si sentano davvero colpevoli di un qualche reato.

Tuttavia, so che se tutti sono colpevoli, poi alla fine nessuno lo è. Se nessun uomo è buono, come ho sentito dire, fino a quando non ha denunciato l’ultimo Filippo Turetta sulla faccia della terra, denuncia che ovviamente deve essere preventiva e non presentata dopo un omicidio, vuol dire che tutti gli uomini sono complici e se sono complici in conclusione non è neppure del tutto colpa loro, ma della società che li ha cresciuti, educati e mal formati. È il sistema, ho sentito dire. Bisogna smantellare il sistema.

Ecco, quando invece che l’assassino si processa la società, il patriarcato, la scuola, la sentenza è già scritta e si tratta di un’assoluzione, perché il giudizio è contro ignoti. Non c’è Filippo Turetta a rispondere di aver rapito, picchiato e accoltellato Giulia per invidia o gelosia, per possesso o per odio: ci sono tutti gli stereotipi che una sociologia da due soldi produce in tv e sui giornali nel tentativo di spiegare la violenza di un assassinio.

No, il femminicidio di una ragazza di 22 anni che sognava solo di laurearsi, di trasferirsi in un’altra città per poter dar sfogo alla sua passione di disegnare fumetti e di dimenticare il dolore per la perdita della mamma, non è un omicidio di Stato, come si vorrebbe far credere. E nemmeno un delitto d’onore per la virilità di maschio offesa da un abbandono. No, non c’entra niente la scuola, dove per altro a impartire le lezioni sono in massima parte donne e non uomini. E non serve a niente far salire sul banco degli imputati un sistema che ha dato al sesso maschile «il privilegio e il potere», con l’obiettivo di condannarlo alla rieducazione.

Queste cose le può dire la sorella di Giulia, ovvero un parente della vittima, che ha tutto il diritto di urlare, di piangere, di imprecare, di odiare e anche di trovare una spiegazione sociologica all’omicidio. Ma non le possono dire i politici che sperano di cavare qualche utilità nella battaglia politica che conducono contro la parte contraria.
E nemmeno le può dire un giornalista, desideroso di un applauso in più o di un libro (venduto) in più: perché nessun luogo comune aiuterà le altre Giulia a difendersi. In compenso i luoghi comuni anestetizzano le coscienze, perché se hai già trovato nella società il responsabile non c’è bisogno di cercare altrove chi ha le mani sporche di sangue. Anzi, forse per quell’assassino si possono invocare le attenuanti: pochi anni e sei fuori se ti dichiari colpevole ma accusi la società patriarcale.

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