di Maurizio Zottarelli per Libero
Non nevica: governo, anzi homo sapiens ladro. Nevica: governo, anzi homo sapiens ladro. Ormai sembra assodato, aldilà di ogni prova scientifica, che qualsiasi condizione metereologica ci si presenti aprendo la finestra al mattino sia da imputare alle malefatte umane. Così, dagli stessi pulpiti dai quali nel febbraio scorso si tuonava contro i disastri ambientali causa della drammatica siccità che – ricordate? – ci avrebbe condannato a una estate di razionamenti idrici, alla desertificazione della pianura padana, fino al rischio di carestie se non di sete, ora si lanciano allarmi per l’emergenza maltempo. Ora che, a quanto pare, il pericolo siccità sembra scongiurato e che, almeno per il momento, il meteo sembra tornato a una qualche normalità, le instancabili vedette del cambiamento climatico scoprono l’emergenza neve a 3mila metri.
Già, perché nel week end, dopo giorni di maltempo e una fittissima nevicata, è stata cancellata la discesa libera maschile di Coppa del mondo di sci in programma a Zermatt-Cervinia, al confine tra Italia e Svizzera. Un fatto che, come spiegato dagli esperti, dovrebbe far riflettere sull’opportunità di calendarizzare una gara su un ghiacciaio a novembre, periodo tradizionalmente bagnato, per cui se in Pianura Padana piove, è prevedibile che a 3mila metri nevichi. Ma invece di celebrare questo ritorno alla normalità, i sacerdoti del cambiamento climatico hanno raccontato della «vendetta della montagna», suscitando, c’è da immaginare, il più genuino stupore nelle decine di migliaia di abitanti delle nostre Alpi che in queste ore hanno accolto la neve con entusiasmo, pregustando un inizio di stagione invernale sotto i migliori auspici.
Il punto, secondo gli ambientalisti, sarebbero gli sfregi sacrileghi inferti ai ghiacciai dagli sciatori. Su Repubblica, il geologo Mario Tozzi ci spiega che «un ghiacciaio toccato si deteriora prima e più a fondo di uno lasciato in pace. E dei ghiacciai intatti ha bisogno tutta l’umanità». In effetti, i ghiacciai sono uno splendore e che Dio ce li preservi. Il fatto è che tutti gli scienziati che ora lanciano allarmi sulla fine dei ghiacciai non ci spiegano che questi non sono sempre esistiti, né che nei quattro miliardi e mezzo di anni della sua storia la terra ha subito migliaia di cambiamenti climatici, attestati da evidenze storiche, geologiche e scientifiche in generale.
Per limitarci alle Alpi, sappiamo che proprio i continui arretramenti e avanzamenti dei ghiacciai hanno scolpito la magnificenza delle vette e delle valli che ora ammiriamo. Inoltre, innumerevoli studi, l’ultimo dei quali pubblicato nel dicembre 2020 su Scientific Reports a firma di diversi ricercatori (Bohleber, Schwikowski, Fischer…) hanno dimostrato, a partire dal ritrovamento di Otzi, l’uomo del Similaun, rinvenuto ai piedi dell’omonimo ghiacciaio (3213 metri) che almeno fino a 4mila anni a.C (Otzi visse tra il 3300 e il 3100 a.C.), sotto i 4mila metri di altitudine sulle Alpi non c’erano ghiacciai (oggi ne abbiamo sotto i 3mila metri) i quali si sono formati successivamente, fino alla fine della cosiddetta Piccola Era Glaciale (ovvero fino a metà del 1800). Cambiamenti climatici anche più robusti e repentini di quelli che osserviamo ora, avvenuti ben prima che qualsiasi umano decidesse di infilare un paio di sci o che qualsiasi motore a scoppio si avviasse.
SALVATE LE PIANTE
Ma tutto questo ai nostri ecoscienziati non interessa. L’unica verità che a loro sembra incontestabile è la colpa dell’uomo. In questo caso, nella versione sciatore. E nemmeno questa è una novità. Da più parti, negli ultimi mesi, si sono alzate grida contro lo sfruttamento sciistico delle montagne. Buon ultimo, qualche settimane fa, lo scrittore Paolo Cognetti si è scagliato contro le piste da discesa, per realizzare le quali si devono abbattere gli alberi: «Bisogna levarne di mezzo addirittura 5mila per un solo impianto di risalita nel bosco», ha dichiarato. Sarà vero, ma anche qui, i dati dicono che dal 1984 a oggi (cioè nel periodo in cui lo sci si è più diffuso) le aree boschive sulle Alpi sono aumentate del 77%. Certo, in parte per l’innalzamento delle temperature che ha elevato la linea dei boschi, ma anche perla riduzione delle aree coltivate e a pascolo, dato che preoccupa molte amministrazioni locali perché una montagna più selvaggia e meno antropizzata è sppiù fragile, con boschi e torrenti meno curati, e, alla lunga, foriera di guai.
L’uomo colpevole di ogni mutazione climatica è la grande ideologia di questi tempi. E Tozzi la porta alle estreme conseguenze. «C’è una sola differenza tra noi e il resto dei viventi non umani, e non è certamente l’intelligenza, la comunicazione o l’uso di strumenti», scrive su Repubblica mandando in soffitta secoli di evoluzionismo e di teorie sul pollice sovrapponibile che avrebbe consentito all’uomo di dotarsi di strumenti con cui intervenire sull’ambiente e difendersi dalle fiere. No, la differenza è «l’accumulo, l’avidità», il capitale economico. Poi il geologo indica l’orizzonte cui l’umanità deve tendere: il leone. «Nessun vivente accumula al di là di quanto occorre nell’immediato, e rimarremo sorpresi nel vedere un leone catturare diverse gazzelle per poi venderne una al mercato, conservarne un’altra sotto sale…». Ecco, il radioso futuro ecologista: il ritorno all’uomo raccoglitore e cacciatore. Prima, però, sarebbe il caso di ricordare agli illuminati ambientalisti che la civiltà si è sviluppata a partire dal neolitico, quando l’uomo, grazie all’agricoltura e all’allevamento, ha potuto accumulare risorse emancipandosi dalla necessità quotidiana di cercare il necessario per alimentarsi. Il che ha permesso all’umanità di progredire, commerciare, scrivere, pensare. Fino a permettersi persino i geologi che scrivono sui giornali.
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