L’intellettuale rossa che piace alla feccia e spara patenti di fascismo non ricorda agli italiani la montagna di quattrini che il padre fece grazie a Mussolini e lo Zio Adolfo

Luigi Mascheroni per il Giornale

Forse è vero. Per far deflagrare l’Occidente, ha fatto notare qualcuno, non servono nemici. Bastano i talk show e un paio di Ginevra Bompiani. Anche una sola… va’.

Ginevra Bompiani, figlia di troppo padre e maestrina della più infida sinistra intellettuale, quella che appoggia le peggiori cause appellandosi ai migliori sentimenti, ha un onorevole pedigree in fatto di opinioni televisive. Sul leader cinese Xi Jinping («una luce di speranza»), su Zelensky («un grande manipolatore»), sul governo Meloni («nazisti»), sugli scafisti («sono dei poveri cristi», che è un po’ come condannare i trafficanti di droga scagionando i pusher), su Netanyahu («è molto peggio di Hamas»)…

Difficile dire se Ginevra Bompiani – nome dolce e carattere acido – pecchi maggiormente in livore, indottrinamento, prosopopea o protervia. Forse in incapacità di lettura della realtà. O mancanza del senso del ridicolo.

L’altra sera, passando da La7 a Rete4 con quella disinvoltura tipica degli idèologues che hanno lasciato Karl Marx in soffitta e si sono presi un attico nel Ghetto, ha accusato Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, di avere padri spirituali che furono complici dell’Olocausto. Il suo padre carnale, Valentino, invece, fu complice del progetto finanziato da Mussolini: quello di pubblicare, anno fascistissimo 1934, il Mein Kampf di Adolf Hitler, tradotto con il titolo La mia battaglia. Dalla casa editrice Bompiani.

Ebbe anche un discreto successo.

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