Estratto dell’articolo di Alessandra Muglia per il “Corriere della Sera”
Cinque anni fa sembrava un uomo politicamente finito. Dopo l’omicidio del giornalista Ján Kuciak e della sua fidanzata, migliaia di persone scesero in piazza contro la corruzione dilagante, costringendolo a dimettersi.
Sembrava spacciato, il suo partito sconfitto per la prima volta in 15 anni, nel 2020. Invece Robert Fico è tornato, e ha vinto neppure di misura la sfida per il suo quarto mandato sfoderando toni apertamente filorussi e xenofobi.
[…] «Anche allora la Slovacchia era spaccata in due: quelli che credono nella democrazia liberale scesero in piazza, mentre rimasero a casa i fan dell’uomo forte che consideravano Kuciak soltanto un problema personale di Fico e non per il Paese» ci dice Peter Bárdy, direttore di Aktuality e autore di Fico — Ossessionato dal potere , biografia appena pubblicata.
È la storia del politico più influente e controverso della Slovacchia moderna: diventato parlamentare appena 28enne nel 1992, tra le fila della sinistra nata dalle ceneri del comunismo, poi fondatore di Smer, partito socialdemocratico, è stato già tre volte premier nel 2006, nel 2012 e nel 2016.
L’ultimo mandato interrotto sotto le pressioni della piazza e dei giudici. Le ragioni della sua rinascita si inseriscono nella sua audace parabola politica: da comunista a populista che cerca alleanze nell’estrema destra. «In realtà Fico non è mai cambiato, è sempre stato uomo pragmatico, cinico, assetato di potere», dice Peter Bárdy.
[…] Ora Fico sta diventando ancora più pericoloso perché non ha più bisogno di apparire accettabile agli occhi dell’Occidente: per questo ha accentuato i toni aggressivi e dispotici e «ora se andrà al governo diventerà un piccolo Orbán». Del resto, i due leader collaborano già da tempo.
«Due settimane fa in Slovacchia è esplosa la crisi dei migranti grazie all’aiuto di Orbán, che ha aperto la frontiera per creare il caso e permettere a Fico di giustificare uno dei punti cardine della sua campagna elettorale. E in passato quando la Ue ha attaccato Orbán, lui lo ha difeso» chiarisce Bárdy.
La frustrazione antisistema è via via cresciuta in Slovacchia negli ultimi tre anni.
L’instabilità politica (tre governi in tre anni) ha pesato sull’aumento del costo della vita. Così il diffuso malcontento e un’aggressiva campagna di disinformazione hanno rilanciato Fico: «Oggi insieme a partiti nazionalisti e di estrema destra raggiunge il 44-46% dei consensi. Ma è fondamentale che Hlas, formazione guidata dal suo ex compagno di partito Pellegrini, entri in coalizione».
[…] «A 19 anni si è iscritto al partito comunista, che negli anni ‘80 era un modo per fare carriera. Ha sposato Svetlana Ficová, figlia di un potente giudice comunista, ma il suo vero amore è Maria Troskova, ex fidanzata del calabrese Antonino Vadalà e sua consigliera prima delle sue dimissioni nel 2018.
Kuciak stava indagando sui legami di Vadalà e della ‘ndrangheta con le autorità slovacche quando è stato ucciso. L’assassinio ha segnato la fine della loro relazione». Diversi osservatori temono con lui al governo una svolta autoritaria e il progressivo smantellamento dello Stato di diritto: in prima linea nell’agenda di Fico ci sarebbe la fine delle indagini sulla corruzione che perseguitano lui e i suoi collaboratori.
Slovacchia, terremoto nelle urne: vince la sinistra contro l’invio di armi a Kiev
di Roberto Demaio per L’Indipendente
Robert Fico, l’ex premier contrario all’invio di aiuti in Ucraina e fondatore del partito Smer-SD, ha vinto a sorpresa le elezioni parlamentari in Slovacchia. Dopo lo spoglio del 99% dei distretti elettorali e contrariamente ai primi exit-poll e alle previsioni iniziali, i socialdemocratici hanno ottenuto il 23,3% dei voti, battendo il Partito Progressista e i centristi fermi al 18%, guidati da Michal Šimečka. Al terzo posto si conferma Hlas-Sd, partito nato da una costola dello Smer e guidato da Peter Pellegrini, di posizioni moderate e filoeuropee, che ha ottenuto il 15% dei voti. Il voto è considerato decisivo per sapere se la Slovacchia si rivolgerà maggiormente alla Russia o continuerà a perseguire la strada filo-occidentale: già durante la campagna elettorale, Fico aveva promesso la sospensione degli aiuti all’Ucraina promettendo di impedirne anche l’adesione alla Nato. La presidente della Repubblica, Zuzana Caputova, ha già dichiarato che affiderà la formazione del prossimo governo «indipendentemente dalle preferenze personali». Dato che in Slovacchia vige il sistema proporzionale, si apre ora per Smer-SD la necessità di trovare una coalizione per formare la maggioranza di governo. Peter Pellegrini ha dichiarato di essersi già offerto come partner, anche se Fico potrebbe guardare anche al Partito Nazionale Slovacco, che garantirebbe una comoda maggioranza di 79 deputati su 150 del Consiglio Nazionale.
Subito dopo i risultati Fico ha ribadito la sua linea, annunciando: «Crediamo che l’Ucraina sia un’enorme tragedia per tutti. Se allo Smer verrà affidato il compito di formare un governo faremo del nostro meglio per organizzare colloqui di pace il prima possibile». Il vincitore delle urne anche ribadito anche la linea contraria all’invio di armamenti a Kiev, dicendosi però pronto «ad aiutare l’Ucraina a livello umanitario e nella ricostruzione del Paese».
Smer-SD è un partito di sinistra socialdemocratica fondato nel 1999 da Robert Fico, che ha raccolto i socialisti slovacchi dopo lo scioglimento del Partito Comunista nel 1990. Già dagli inizi volle porsi come un partito della “nuova sinistra”. Dopo le elezioni parlamentari del 2002 Fico cercò di qualificare il suo partito come un’opposizione più credibile di quella comunista e nazionalista. Alle elezioni del 2006 il partito raddoppiò i propri consensi ottenendo il 29,1% dei voti. Tuttavia, il governo basato da un’insolita alleanza con un partito di destra ha portato alla sospensione dal Partito del Socialismo Europeo il 12 ottobre 2006, il quale aveva dichiarato nel 2001 che avrebbe rifiutato alleanze e altre forme di cooperazione con partiti che fomentano pregiudizi razziali ed etnici. Smer-SD fu riammesso il 14 febbraio 2008, dopo che Fico ed il leader del partito alleato di destra Jan Slota comunicarono con una lettera il loro impegno a rispettare i valori europei, i diritti umani e le minoranze etniche. Alle elezioni parlamentari del 2012 e del 2016 è risultato il primo partito nazionale, superando quota 44%. Quota che si è più che dimezzata al 2020, quando Smer-SD ha raccolto il 18,73% dei consensi. Nonostante l’appartenenza all’Internazionale socialista – l’unione mondiale dei partiti politici di aspirazione socialista – e all’Alleanza Progressista – un’organizzazione internazionale fondata nel 2013 per raccogliere partiti di centro-sinistra non esclusivamente socialisti – esistono differenze significative tra le politiche di Smer-SD e i partiti social democratici dell’Europa occidentale: a differenza di altri partiti europei, il partito rifiuta riforme economiche di stampo neoliberista, proponendo strategie basate su investimenti pubblici. Inoltre il partito mantiene un marcato carattere nazionalista e sul fronte dei diritti civili ed individuali si mostra decisamente meno progressista del grosso dei partiti socialisti europei. Differenze marcate anche nelle politiche migratorie: Robert Fico ha respinto categoricamente la distribuzione dei profughi nel territorio UE e ha descritto i musulmani come incapaci di integrazione. Robert Fico è stato costretto a dimettersi a marzo 2018 dopo l’omicidio del giornalista d’inchiesta slovacco Ján Kuciak e della sua compagna, ucciso mentre stava eseguendo indagini su corruzione e truffe intorno ai fondi strutturali dell’Unione Europea. Nel suo ultimo scritto, aveva sostenuto l’esistenza di rapporti tra la ‘Ndrangheta calabrese e alcuni membri del Governo Fico. Smer-SD è a favore dell’appartenenza all’Unione europea e alla Nato, pur sottolineando la necessità di mantenere buone relazioni con la Russia e la Cina. In merito al conflitto russo-ucraino, il partito auspica il termine degli aiuti militari a Kiev e delle sanzioni comminate contro la Russia. Ha interpretato l’attacco come una guerra per procura tra Stati Uniti e Russia, in cui quest’ultima «vede minacciati i propri interessi nazionali».
La vittoria arriva nello stesso periodo in cui la Polonia ha annunciato di bloccare le forniture di armi a Kiev, anche se il presidente polacco Andrzej Duda ha recentemente precisato che “quando le vecchie attrezzature saranno sostituite, non dovrebbero esserci problemi ad inviarle agli ucraini”. L’Ucraina, quindi, potrebbe presto trovarsi a poter contare su un Paese in meno per sostenere i costi e le forniture necessarie per il conflitto in corso.
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