Meloni l’ha fatto votare dai suoi a Bruxelles! Il Digital Services Act, la legge che mette il bavaglio non solo ai social, ma anche alla messagistica approvato anche con il voto degli eurodeputati di’Infami d’Italia’

tratto dal gruppo Telegram di Rossella Fidanza

Oggi è entrato in vigore il Digital Services Act dell’Ue (qui), per ora riguarda solo le big tech (con più di 45 milioni di utenti) ma ci sono degli aspetti che ricadranno a cascata sugli utenti (non è un caso secondo me, ad esempio, che Musk ha tolto la possibilità del blocco su Twitter). Il nuovo regolamento si applica a tutta la UE, quindi non vi sono previsioni differenti per ciascuno dei 27 paesi membri. Le big tech, tra l’altro, non sono un concetto espresso a caso, ma sono quelle indicate in un elenco preciso stilato dalla UE (qui).

Al momento Telegram non è incluso, forse perchè non risultano ancora attivi mensilmente più di 45 milioni di utenti riferito alla sola UE. Si tratta dei social Facebook, Instagram, Snapchat, TikTok, Twitter (ora X), Linkedin, Pinterest, YouTube, dei servizi di prenotazione come Booking.com, dei marketplace come Amazon, Zalando, Google Shopping, Alibaba, AliExpress, degli store per le applicazioni Apple App Store e Google Play, e poi Google Maps e Wikipedia, e per finire i due motori di ricerca più conosciuti, Google e Bing di Microsoft. Prima di questa legge, le BT erano responsabili dei contenuti illeciti caricati dagli utenti solo nel caso in cui, una volta saputo, non avessero proceduto alla rimozione.

Con questa legge invece le BT innanzitutto dovranno avere un “punto di contatto”, cioè un team dedicato alle segnalazioni di autorità e utenti (ed ecco che qua si incastra la rimozione della possibilità di blocco di twitter).

Le BT potranno sospendere gli utenti ma prima dovranno avvisarli in modo specifico: non sarà sufficiente dire che sono stati violati le condizioni della comunity in modo generico, ma dovranno dire esattamente per quale motivo. Inoltre avranno la responsabilità di verificare che nei marketplace, sia delle applicazioni che dei siti di vendita online veri e propri, non vengano venduti articoli illegali.

Il DSA prevede che ogni anno le BT redigano un report che valuti i rischi per i diritti fondamentali, la libertà d’espressione, il dibattito pubblico, i minori, derivanti da un abuso o uso illegittimo dei loro servizi. In seguito dovranno presentare la soluzione (algoritmi, moderazione, controlli ecc), e per far questo potranno essere sottoposti anche a controlli da parte di autorità e soggetti terzi (privati, sottolineo).

Saranno vietati i dark pattern, ovvero quei metodi che servono a indirizzare in modo non chiaro gli utenti verso scelte precise. In Italia non è ancora stata decisa l’autorità di vigilanza, probabile che sarà l’AGCOM: entro febbraio 2024 il DSA sarà vincolante anche per tutte quelle piattaforme con meno di 45 milioni di utenti mensili, e le sanzioni potranno ammontare al 6% del fatturato globale. Sulla carta sembrerebbe tutto molto bello, chiaro e sicuro. Ma il punto è molto semplice: se le sanzioni sono così alte, le BT avranno convenienza a rischiare oppure a mettere tutti i paletti possibili per poter “essere al sicuro” da ogni contestazione, comportando inevitabilmente un controllo “eccessivo” nei confronti degli utenti?

QUI LA LETTERA DEL GALOPPINO A BRUXELLES DELLA MELONI CHE SI ARRAMPICA SUGLI SPECCHI PER SPIEGARE IL VOTO FAVOREVOLE DEGLI ‘INDEGNI D’ITALIA’

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