Tre anni giocando alla pandemia e oltre 500 giorni di guerra stanno portando via tutto alle famiglie italiane: nessuno fa nulla, ma il potere d’acquisto crolla a picco

Tassi e inflazione, l’Italia nella trappola. “Crolla il potere d’acquisto e ogni famiglia perde 3800 euro l’anno”
Il dati del nuovo Focus Censis-Confcooperative: in fumo 693 miliardi. Cadono le richieste di mutui
L’aumento del costo del denaro e l’inflazione galoppante hanno mandato in fumo ben 693 miliardi di euro falcidiando così la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane in calo del 14,4% nel 2022 rispetto ad un anno prima. «La Bce sta provando a contrastare l’inflazione e a difendere l’euro dalla svalutazione rispetto al dollaro attraverso l’aumento dei tassi di interesse. Questa politica monetaria, però, rappresenta una tassa sul macinato per famiglie e imprese» segnala il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini.

Stando al nuovo Focus Censis-Confcooperative «L’Italia fa i conti con i tassi di interesse», lo scorso anno il potere d’acquisto delle famiglie si è infatti ridotto di 100 miliardi di euro: in media almeno 3.800 euro a famiglia su base annua. L’impatto però, viene segnalato, sarebbe stato molto più pesante senza gli interventi governativi: nelle analisi operate dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, infatti. l’ammontare delle misure a favore di famiglie e imprese e di contrasto all’inflazione (riduzione accise sui carburanti, bonus sociali, esoneri contributivi, crediti d’imposta, ecc.) ha raggiunto i 119 miliardi di euro: 5,6 miliardi nel 2021, 70 miliardi nel 2022, 35,1 nel 2023. Altri 8,2 miliardi avranno poi corso nel prossimo biennio 2024-2025.

Il caro denaro non solo produce un effetto pesante sui conti pubblici – a fronte di un debito che a maggio ha toccato quota 2.817 miliardi di euro, di qui al 2026, infatti, la spesa per interessi potrebbe collocarsi intorno ai 100 miliardi di euro (40 in più rispetto al 2020) – ma determina anche notevoli cambiamenti nei comportamenti di spesa delle famiglie. I continui aumenti dei tassi di interesse decisi negli ultimi 12 mesi dalla Bce hanno infatti determinato un balzo del tasso medio applicato al totale dei prestiti schizzato dal 2,21 al 4,25%.

Il «clima avverso» rispetto alle decisioni di acquisto e di investimento da parte delle famiglie è confermato dall’andamento del mercato immobiliare in Italia, segnala il Focus del Censis. Che citando i dati diffusi dal Consiglio Nazionale del Notariato sottolinea come rispetto allo scorso anno si registrerà una riduzione del 17,1% delle compravendite di case fra privati e del 2,5% delle compravendite delle seconde case fra privati. In generale, per quanto riguarda i fabbricati abitativi il ridimensionamento delle decisioni di acquisto si attesta intorno all’11%. Tutto ciò comporterebbe un crollo del 10,1% delle richieste di mutui per l’acquisto di abitazioni e del 9,6% nel caso in cui i mutui richiesti siano compresi fra i 50.000 e i 150.000 euro.

Allungare il mutuo per abbassare la rata: il governo può davvero obbligare le banche?

Da questa prospettiva occorre ricordare che in Italia, su un totale di 25 milioni e 600 mila famiglie, 18,2 milioni sono proprietarie dell’abitazione in cui vivono (il 70,8%, dati al 2021). Di queste, al momento, 3,3 milioni di famiglie (il 12,8% sul totale) sono impegnate con un mutuo da pagare e, all’interno di questa componente, circa 700 mila hanno già mostrato difficoltà, ritardando il pagamento di almeno una rata mensile.

In questa fase le imprese stanno incontrando nuove difficoltà nell’accesso al credito, sebbene ancora in maniera contenuta. A marzo di quest’anno, rispetto a marzo dello scorso anno, i prestiti alle imprese del settore manifatturiero si sono ridotti dell’1,5% e nelle costruzioni dell’1,3%. Più ampia è la differenza che separa l’accesso al credito delle piccole imprese da quello delle imprese medio-grandi: per queste ultime la riduzione nel periodo è stato di sei decimi di punto, mentre per le prime ha raggiunto il 4,4%.

Nel 2022, i dati di confronto con l’anno precedente indicano una situazione ancora non particolarmente definita: i prestiti erogati da società finanziarie, ad esempio, erano cresciuti del 5,1%, ed anche nel 2023 questi operatori hanno continuato a mantenere una variazione positiva nell’erogazione dei prestiti alle imprese.

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