Repubblica dedica uno spazio fisso alle morti sul lavoro. Una Spoon River che racconta le vite di ciascuna vittima, evitando che si trasformino in banali dati statistici. Vite invisibili e dimenticate. Nel nostro Paese una media di tre lavoratori al giorno non fa ritorno a casa e “Morire di lavoro” vuole essere un memento ininterrotto rivolto a istituzioni e politica fino a quando avrĆ termine questo “crimine di pace”.
“Sole sul tetto dei palazzi in costruzione, sole che batte sul campo di pallone. E terra e polvere che tira vento e poi magari piove”. Forse di terra e polvere Francesco giocando a calcio ne ha respirata poca, in questi anni di campi d’erba sintetica. Ma l’aria era la stessa di quella cantata da De Gregori, le partite dei campionati amatoriali per chi da ragazzo ha sognato il grande calcio, ma poi ha fatto i conti con le dimensioni del proprio talento. E allora tanto sole sul tetto dei palazzi in costruzione, insieme al padre e agli altri operai della ditta edile di famiglia. Francesco Mannozzi, 31 anni, ĆØĀ morto di lavoro travolto dal crollo di un muroĀ del casolare che stavano ristrutturando nella campagna di San Gimignano, la cittĆ toscana delle settantadue torri medievali. “Mommia”, lo chiamavano tutti cosƬ, era muratore esperto e colonna della difesa della Sangi Amatori, dopo la trafila nelle giovanili della prima squadra di San Gimignano. Lascia il babbo Beppe, mamma Donatella, la sorella Elisa e la compagna Giorgia. “Non ĆØ vero quello che si dice: ‘In una squadra tutti sono importanti, ma nessuno ĆØ insostituibile’. Tu eri insostituibile. Tu sei insostituibile. Ti porteremo sempre con noi”, hanno scritto i compagni del calcio. E c’ĆØ da credergli guardando la foto di Francesco negli spogliatoi, felice con la coppa in mano.
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