Enrico Letta, il piano per farsi lautamente mantenere anche nei prossimi anni: da vero parassita, di andare a cercarsi un lavoro vero non ci pensa minimamente

Estratto dell’articolo di Giovanna Vitale per “la Repubblica”

L’indiscrezione corre di bocca in bocca ormai da settimane: «Enrico sta cercando una via d’uscita».

Convinti, i colleghi in Transatlantico, che il segretario del Partito democratico – una volta consegnate le mostrine del capo al vincitore delle primarie – non durerà a lungo neppure fra gli scranni di Montecitorio.

«Sono mesi che non sente e non vede più nessuno», racconta chi pure gli è stato vicino nei quasi due anni di permanenza al Nazareno. Come se la scelta di vestire i panni dell’arbitro non giocatore, ossia di mantenersi equidistante e non candidarsi al congresso dopo le dimissioni che gli hanno impedito di rassegnare la notte stessa della batosta elettorale – trattenuto in sella dallo stato maggiore dem, preoccupato per il potenziale vuoto di potere – fosse un gesto studiato di disamore: nei confronti del partito che di fatto non governa più e del ruolo di leader largamente condiviso che ha perduto già da un po’.

Deflagrato il Pd sotto i colpi della lotta fra correnti, tornata cruenta in vista dei gazebo, e con esso l’unanimità di facciata garantita dalla stagione di governo, Letta s’ è infatti inabissato. Deciso a sottrarsi al giochino di chi ne ha voluto fare, ben oltre le sue innegabili responsabilità, il capro espiatorio di tutti gli errori commessi dopo la caduta di Draghi: dalle alleanze mancate alla postura da tenere all’opposizione, fino alla caotica organizzazione della fase costituente, causa ed effetto del precipizio nei sondaggi e del sorpasso del M5S. Un tiro al piccione che l’ha molto amareggiato: simile alla delusione provata ai tempi della cacciata da Palazzo Chigi per mano di Renzi. Tale da innescare, oggi come allora, una crisi personale e una profonda riflessione sul suo futuro.

È a un bivio, Letta. Incerto se ripercorrere a ritroso la strada che nel 2015, prima d’essere richiamato al capezzale del Pd ferito dall’addio di Zingaretti, lo condusse fuori dal Parlamento, a insegnare in una grande università francese, nei board di prestigiose compagnie straniere (da Abertis a Toyoi), advisor di società del calibro di Spencer Stuart, al vertice di organismi internazionali come l’Italia-Asean, l’associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico. «È evidente che se volesse rientrare in quel mondo lì, non avrebbe problemi: con il suo curriculum potrebbe fare qualsiasi cosa», concordano i compagni di banco alla Camera.

Oppure se restare in politica nonostante tutto – consapevole che un nuovo congedo sarebbe stavolta irreversibile – sebbene optando per la dimensione che gli è da sempre più congeniale: quella europea. Una volta eletto alla guida del Pd, Letta ha sì rinunciato a tutti gli incarichi accumulati nell’esilio da professore, ma ha mantenuto la presidenza dell’Istituto Jacques Delors, dove potrebbe tornare a tempo pieno. E ha soprattutto continuato a coltivare, intensificandole grazie al ruolo di segretario di uno dei maggiori partiti progressisti del continente, importanti relazioni oltreconfine con leader politici e capi di governo.

Tant’ è che una delle ipotesi che si prospettano porta dritta a Bruxelles. Letta potrebbe essere cioè tentato di allontanarsi dalla politica attiva italiana per approdare a una candidatura alle Europee del 2024. La chiave in grado di schiudere le porte di un ufficio di peso nella Commissione Ue qualora le elezioni dovessero premiare la famiglia socialista. Oppure a Strasburgo, dove le possibilità per un ex presidente del Consiglio sono comunque molteplici. La poltrona più alta del Parlamento europeo sarebbe a quel punto l’approdo minimo.

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