Caso emanuela Orlandi, clamoroso: dopo 40 anni il Vaticano decide di riaprire il caso. I malpensanti dicono che aspettavano la morte di Ratzinger

Fabrizio Peronaci per www.corriere.it

Alla fine la famiglia della “ragazza con la fascetta”, che attende verità e giustizia da quel lontano e mai dimenticato 22 giugno 1982, ha vinto una prima battaglia.  Il Vaticano riapre il caso di Emanuela Orlandi.

La notizia è filtrata in queste ore: a quasi quarant’anni dalla scomparsa, il promotore della giustizia vaticana Alessandro Diddi insieme alla Gendarmeria hanno deciso di riaprire le indagini di una vicenda che ha scosso la Santa Sede e le sue massime istituzioni, in un percorso giudiziario e investigativo che ha sfiorato ipotesi inquietanti di ogni tipo e coinvolto servizi segreti e cancellerie di mezzo mondo.

L’obiettivo degli inquirenti – da quel che è trapelato – è  scandagliare di nuovo tutti i fascicoli, i documenti, le segnalazioni, le informative, le testimonianze. Un lavoro a 360 gradi per non lasciare nulla di intentato, per provare a chiarire ombre e interrogativi e mettere definitivamente la parola fine al più torbido giallo lasciato in eredità dal secolo scorso.

Stando al piano di lavoro messo a punto all’ufficio del promotore di giustizia si ripartirà dai dati processualmente acquisiti, si seguiranno nuove piste e vecchie indicazioni all’epoca non troppo approfondite: insomma, l’investigazione ripartirà dall’esame di ogni singolo dettaglio a partire da quel pomeriggio del giugno 1983 allorquando la 15enne Emanuela, figlia del messo pontificio Ercole, scomparve nel nulla.

Si era chiusa alle spalle la porta della sua abitazione alle 16 per andare a lezione di musica in piazza Sant’Apollinare. Nei pressi dell’omonima basilica dove molti anni più tardi si scoprì che vi era seppellito uno dei capi della banda della Magliana, `Renatino´ Enrico De Pedis, secondo diversi testimoni esecutore materiale del sequestro «per conto di alti prelati».

L’iniziativa della magistratura vaticana si muove – secondo quanto ricostruito dall’Adnkronos – nel solco della ricerca della verità e della trasparenza a tutti costi voluta da Papa Francesco, e per quanto riguarda l’affaire Orlandi si inserisce sulla scia dell’attenzione mostrata al caso da altri pontefici, a partire da Giovanni Paolo II (fu il primo, nel suo appello durante l’Angelus del 3 luglio 1983, a ufficializzare l’ipotesi del sequestro). Le nuove indagini su Emanuela potrebbero arrivare a uno squarcio di luce anche sulla vicenda della coetanea Mirella Gregori, scomparsa pure lei quell’anno.

A chiedere a gran voce la riapertura delle indagini erano stati, nei giorni scorsi e andando indietro fino agli ultimi due anni, l’avvocatessa della famiglia Orlandi Laura Sgrò, anche sulla base di una testimonianza del fratello di Emanuela, Pietro, secondo il quale una cartellina gialla con su scritto “Rapporto Emanuela Orlandi” era stata vista dal cosiddetto “Corvo”, Paolo Gabriele, l’ex maggiordomo del Papa nel frattempo deceduto, negli uffici del Palazzo Apostolico.

Nuove rivelazioni, docufiction di successo, piste inedite. Mai come in questi ultimi tempi si sono riaccesi i fari sulla storia della scomparsa della giovanissima Emanuela, fari che si erano spenti nell’ottobre del 2015 allorché il Gip, su richiesta della Procura guidata da Giuseppe Pignatone, archiviò l’inchiesta sulle sparizioni di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, avviata nel 2006 successivamente alle dichiarazioni di Sabrina Minardi.

In tempi recenti, le novità sono state numerose. Intanto, la scorsa estate, il pm romano Erminio Amelio ha aperto una nuova inchiesta sul giallo collegato di Katy Skerl, una 17enne uccisa nel 1984 a Grottaferrata la cui bara – come anticipato con largo anticipo da Marco Accetti, superteste e reo confesso del sequestro Orlandi-Gregori – è stata incredibilmente rubata.

Poi, qualche settimana fa, la mamma di Josè Garramon, il bambino uruguayano travolto e ucciso nella pineta di Castel Fusano dallo stesso Accetti nel dicembre 1983, ha rivelato di essere convinta che dietro la morte di suo figlio ci fosse una vendetta di forze occulte, nell’ambito del Piano Condor all’epoca promosso dalle polizie segrete dei regimi latinoamericano, in alleanza con la Cia, contro le posizione “progressiste” sue e di suo marito.

Infine – mentre la famiglia Orlandi continuava a insistere sulla necessità di riaprire le indagini – una serie di inchieste del Corriere.it ha fatto emergere seri indizi mai rivelati sulla partecipazione della banda della Magliana (provata dall’utilizzo del codice “Aliz”, che riconduceva a Renato De Pedis), su precedenti pedinamenti di cittadine vaticane e sulle pressioni in ambito ecclesiastico (anch’esse evidenziate da messaggi criptati) per estromettere monsignor Marcinkus (anni dopo condannato per bancarotta) dalla gestione dello Ior.

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