Il generale Roberto Jucci, 98 anni, è stato al vertice del servizio di sicurezza dell’esercito e comandante dei carabinieri. È stato l’uomo di fiducia di molti politici della Prima Repubblica come Francesco Cossiga, Bettino Craxi, Giovanni Spadolini. E non è stato mai sentito dalle commissioni parlamentari sul caso del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro. Oggi in un’intervista a Repubblica spiega che all’epoca era solo un generale: «Nel 1978 ero capo del Secondo reparto dello Stato Maggiore dell’Esercito che si occupava di sicurezza, più spesso noto con la sigla Sios». E ricorda con Gianluca Di Feo: «Il mio più grande rammarico sul caso Moro è quello di non avere capito che venivo strumentalizzato. Nel senso che mi avevano messo nell’angolo e mandato via da Roma per non vedere e non operare».
Non vedere e non operare
Jucci dice che Cossiga gli chiede di creare «un reparto dell’Esercito che potesse intervenire per liberare Moro quando fosse stata individuata la sua prigione. Dovevano operare con una precisione millimetrica per non rischiare la vita dell’ostaggio. Mi diede una settimana di tempo. Io ho preso gli incursori del leggendario Col Moschin, ho acquistato armi sofisticate in Gran Bretagna e in Germania e li ho fatti addestrare senza sosta in una base segreta all’interno della tenuta presidenziale di San Rossore. Cossiga mi domandava continuamente se erano pronti. Gli ho detto: “Ministro venga a vedere di persona”. Durante il viaggio per l’ispezione, senza preavviso, gli incursori fecero un agguato al suo corteo e immobilizzarono la scorta: a Cossiga stava venendo un infarto». Ma secondo lui nell’incarico c’è sempre stato qualcosa di strano: «Non so se lo fecero per togliermi fuori dal campo a Roma. Perché io così passai praticamente tutti i giorni del rapimento in Toscana nella tenuta di San Rossore per predisporre questa squadra che non è mai entrata in azione».
La Loggia P2
E aggiunge: «Mi tolsero di mezzo. E non so se questo fu fatto apposta. Perché allora gran parte dei vertici delle Istituzioni militari erano della P2. E su quella loggia io oggi ho molti pensieri: perché la P2 era espressione di un gruppo di potere di un Paese straniero, amico sicuramente ma che aveva altri interessi». Jucci parla degli Stati Uniti. O meglio di «centri di potere americani che operavano anche attraverso elementi della P2». Secondo Jucci la lista di Gelli non era l’elenco completo: «Nell’elenco c’erano persone amicissime di altre che non comparivano nella lista. La cosa non mi è mai tornata. Bastava esaminare le carriere che hanno sponsorizzato per farsi un’idea… La P2 era uno Stato nello Stato!».
Federico Umberto D’Amato
Poi il generale ricorda Federico Umberto D’Amato: «Era un’anguilla, da quando era vicecommissario della polizia imperava nell’Ufficio Affari Riservati del Viminale. Quando nel 1986 sono arrivato al vertice dei carabinieri, sono andato ad Arezzo e ho chiesto di Gelli al comandante provinciale dell’Arma. Lui mi disse: “Qui molti dei responsabili delle istituzioni sono stati voluti da Gelli. Il mio impegno più gravoso è stato far ricevere generali la domenica da Gelli”. Rimasi senza parole». Per Moro, ricorda, aveva un affetto filiale: «Ricordo ancora quando l’ho accompagnato nell’incontro con Gheddafi per discutere delle condizioni degli italiani in Libia e di altri problemi: il principale era l’importazione a prezzo speciale del greggio libico quando era prezioso, poiché il Canale di Suez era bloccato. Ho avuto con Moro vari colloqui, spesso mi chiedeva opinioni».
I pedinamenti
Dice che nel sequestro Moro avrebbe fatto pedinare «coloro che andavano a portare le lettere di Moro al suo segretario Freato e ad altri soggetti. Avrei cercato di trovare supporto nei Paesi arabi che forse avrebbero potuto trovare un canale utile per la sua liberazione. Avrei tentato l’intentabile per salvarlo. Probabilmente non ci sarei riuscito, ma avrei tentato di tutto». Ma «non ci fu un coordinamento. E purtroppo ci si affidò a quel gruppo che consigliava Cossiga per portare avanti le operazioni. Cossiga era consigliato da un uomo mandato dagli Usa e dalla commissione composta in gran parte da piduisti. Tutte persone che a mio avviso volevano che le cose andassero in una maniera diversa da quella che tutte le persone oneste chiedevano. Moro doveva essere distrutto politicamente e fisicamente: se Moro fosse sopravvissuto la politica dell’Italia avrebbe avuto uno sviluppo diverso da quello che è stato. Credo che si sarebbe potuto liberare Moro, se tutte le istituzioni avessero operato in questa direzione. Ma l’apertura di un governo, sostenuto da Moro, formato da comunisti e democristiani era osteggiata sia dagli Usa e sia per altri motivi dall’ex Unione Sovietica».
Piero Colaprico per “la Repubblica” – Estratti
Giovanni Pellegrino, lei che è stato presidente della Commissione stragi, ha letto l’intervista di Repubblica al generale Jucci?
«Intervista piena di verità. Il generale dice con chiarezza che Francesco Cossiga avrebbe voluto salvare Aldo Moro e il dubbio di non aver fatto abbastanza l’ha tormentato tutta la vita. Gli venne anche la vitiligine…».
Ma obiettivamente poteva fare di più se era circondato, come racconta Jucci e come sapevamo tutti dai documenti, da uomini della Loggia P2?
«Quando Jucci dice che nei comitati di crisi la P2 era ampiamente rappresentata dice il vero. C’era chi pensava da subito a un esito diverso del sequestro da parte delle Br. Moro non doveva essere salvato. E non a ogni costo».
Ma al di là di questo, esiste un fatto concreto che rende Moro “sacrificabile”?
«Certo, fu il fatto che nei comitati di crisi si aveva la certezza, grazie ai comunicati delle Brigate rosse, che un documento segreto su Gladio, la rete
creata dalla Nato per la reazione militare in caso d’invasione, fosse stato trafugato dal Ministero e dato alle Br».
Spieghi meglio, per favore.
Innanzitutto, trafugato da chi? Da “amici” di Moro?
«Sì, certo. La fotocopia di questo documento importantissimo viene trovata a Milano, nel covo di via Monte Nevoso, e l’originale si trova sepolto a Genova, nel giardino del covo di via Fracchia».
Poi ci torniamo, ma perché trafugarlo e darlo ai terroristi?
«Gli amici di Moro, quelli che lo volevano vivo, s’illusero che poteva essere un pezzo del riscatto. Per loro si trattava di un grande segreto cruciale per l’Alleanza atlantica, ma per i brigatisti rappresentava un segreto da quattro soldi».
Per il generale Jucci, la lista della P2 scoperta da Colombo e Turone a Castiglion Fibocchi non era completa…
«Concordo. La P 2 non era il regno del male descritto dalla Commissione Anselmi e nemmeno una combriccola di allegri affaristi come emerso dalle indagini della magistratura. Ogni tanto, quando ascoltavamo i testimoni, domandavo: “La P2 poteva essere un centro di irradiazione dell’oltranzismo atlantico?”. E che altro possiamo pensare che fosse, è la risposta comune. Jucci lo dice benissimo. Infatti la P 2 non rappresenta l’Alleanza atlantica, ma l’oltranzismo».
Con iscritti molti militari…
«Chiedevano in tanti di iscriversi perché la P2 era come avere un super Nulla osta di sicurezza. Lo stesso generale Dalla Chiesa si iscrisse perché si sentiva debole per la concorrenza interna all’Arma. La storia italiana, se la si guarda con serenità, nelle linee generali è chiarissima, sui particolari invece è facile perdersi».
Non bisogna essere giallisti per comprendere che Jucci ha ragione quando spiega che per salvare Moro andavano pedinate alcune persone…
«Bastava seguire, oltre ai “postini” della famiglia Moro, alcuni dell’Autonomia operaia vicini ai socialisti, se li avessero controllati gli investigatori sarebbero arrivati alle Brigate rosse. Ma a un certo punto emerge che non dovevano fare più niente, restare immobili. E Cossiga ha sofferto di questo».
È in questo quadro che i vari leader della politica e dell’intelligence apprendono che c’è un documento di Gladio in mano alle Brigate rosse, giusto?
«Moro, attraverso il suo entourage aveva rivelato l’esistenza di Gladio a dei marxisti-leninisti rivoluzionari. Era dunque un traditore dell’Alleanza e non meritava di essere salvato».
Ma perché nemmeno dall’Unione sovietica attraverso l’agente del Kgb Giorgio Conforto?
«In quel mondo diviso in due, Moro non era gradito all’oltranzismo atlantico, ma nemmeno a chi stava oltre la cortina di ferro. Erano contrari al comunismo di Enrico Berlinguer e all’ipotesi di un governo Dc con il Pci. Insomma, è cronaca di una morte annunciata ».
Torniamo al documento di Gladio.
«Me ne parlò l’ammiraglio Fulvio Martini, ex capo del Sismi, il servizio segreto militare, quando stavo lasciando il Senato. Mi volle incontrare a casa sua, mi offrì un ottimo whisky torbato e mi parlò di uno scontro con il ministro della Difesa Attilio Ruffini. Il quale aveva detto una frase del tipo “Possiamo stare tranquilli”, mentre Martini non lo era affatto e aveva risposto. “Tranquilli come, se dalla cassaforte del ministero è scomparsa la comunicazione della strategia della rete Nato Stay Behind ?”. E cioè il documento di 17 pagine che stava in via Fracchia».
Via Fracchia, 28 marzo 1980, dopo le confessioni di un brigatista pentito arrivano gli uomini del generale Dalla Chiesa. Vengono uccisi tre brigatisti e la padrona di casa…
«Già, i carabinieri sparano con i fucili a pompa e però uno solo di questi brigatisti, Riccardo Dura, si ritrova con un colpo alla nuca».
Che cosa vuol dire?
«Faccio un’ipotesi. Se nel giardino spunta il documento di Gladio, chi lo sapeva? Di certo Dura. Quando ho sentito Dalla Chiesa, ripeteva che il loro obiettivo era trovare le carte di Moro. Non credo che il memoriale fosse così interessante, ma se pensiamo a un documento segretissimo della Nato…».
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