Peperoncino: fa bene o fa male? Una ricerca spiega perfettamente perché l’essere umano è l’unica specie in natura che ne apprezza le sue caratteristiche

Perché si ama (o si odia) il piccante del peperoncino
Fa discutere una ricerca inglese sui benefici del mangiare hot: tra bruciore e dolore, ecco vizi e virtù dell’ingrediente
di Giulia Andreotti per Repubblica
Fa discutere una ricerca secondo la quale mangiare piccante nei viaggi notturni sia la soluzione ideale per contrastare la stanchezza alla guida perché stimola il metabolismo, ricarica la concentrazione e migliora l’umore. Affermazioni che arrivano dal Regno Unito e che fanno sospettare un approccio commerciale e di tipo promozionale, tipico dell’ecosistema tossico della disinformazione di determinati cibi.

“Una semplice correlazione non significa nulla, e in particolare non è una prova di un rapporto di causa ed effetto – scrive il chimico e divulgatore scientifico Dario Bressanini nel suo libro “Fa bene o fa male?” – Purtroppo però questo genere di correlazioni sono all’ordine del giorno quando si parla di nutrizione, alimenti, malattie e benessere umano. E spesso non ci sembrano strane perché l’essere umano è programmato per cercare cause, non trovarle. E sui presunti effetti benefici che i cibi piccanti hanno sul nostro corpo se ne è scritto parecchio”.

La cosa certa che sappiamo su questa bacca è che l’essere umano è l’unica specie ad apprezzare e ricercare la sensazione di calore bruciante che rilascia dopo ogni morso. Ma, o lo ami o lo odi, e la personalità gioca un ruolo importante in questa scelta.

Il tratto del carattere che ci spinge a cercare emozioni forti o quello che ci rende più sensibili alle ricompense hanno un legame con la passione per il bruciore del peperoncino e il consumo in grandi quantità di alimenti piccanti. E alcune persone lo amano così tanto che partecipano addirittura a gare a chi mangia più ghost pepper, uno dei peperoncini più piccanti al mondo usato per fabbricare il famoso spray dalla funzione antiviolenza o addirittura, dall’esercito indiano, come arma non letale per stanare i terroristi.

Ma da cosa nasce questo desiderio di “tortura”? Dalla capsaicina, il principio attivo del peperoncino piccante che provoca la sensazione di bruciore stimolando i recettori del trigemino presenti in bocca. Il nostro quinto nervo cranico infatti è il responsabile della sensazione di dolore, bruciore, freddo e irritazione quando mangiate una caramella alla menta o quando affettata una cipolla.

Un processo che provoca un forte rilascio di endorfine, l’eroina naturale che il nostro corpo produce. E l’eccitazione che provoca questo oppioide è la ragione per cui il peperoncino viene considerato un afrodisiaco: scalda il corpo e provoca eccitanti brividi dappertutto.

Esiste una teoria che spiega con chiarezza questo genere di masochismo “benigno”: una situazione leggermente spiacevole in un contesto sicuro può essere eccitante. Ed è ciò che ci spinge ad andare sulle montagne russe, a lanciarsi dal paracadute, a fare bungee jumping o a guardare un film dell’orrore e anche a mangiare piccante. A ognuno la sua “piacevole tortura”. De gustibus.

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