“Tutti contro tutti in Consiglio dei Ministri!” Meloni e Salvini ai ferri corti: il retroscena sui minuti successivi alla sacrosanta bastonata presa in Sardegna

di Gabriele Angelini per IlParagone

Il risultato delle elezioni in Sardegna sta già creando diversi problemi nella maggioranza, andando ad aumentare quella crepa già abbastanza netta tra Meloni e Salvini. Ancor prima dell’ufficialità della vittoria della candidata espressa da Pd e M5S, Alessandra Todde, durante il consiglio dei ministri che si è svolto nel pomeriggio del 26 febbraio la tensione era alle stelle. Come racconta in un retroscena Tommaso Ciriaco su Repubblica, si è consumato un acceso scontro tra Raffaele Fitto, fedelissimo di Giorgia Meloni, e Matteo Salvini. “Un’asprezza inedita, figlia di ore concitate”, rivelano fonti interne. “Volano parole pesanti”. Con il leghista gli imputa di aver finanziato alcune opere del Pnrr tagliando i progetti di ponti, strade e ferrovie. E, a quanto pare, alla fine Salvini ha lasciato la sala prima del tempo, letteralmente infuriato.

“Così non va, proprio non va”, ha tuonato Salvini. La battaglia, nel centrodestra, è dunque appena cominciata. Finita la luna di miele degli italiani con Meloni, il leader della Lega prova a riguadagnare terreno. Del resto, la Lega gongola per la sconfitta sarda, perché il candidato “debole” è stato imposto proprio da Fratelli d’Italia. Per questo la premier ha visto a pranzo il segretario della Lega e Antonio Tajani, imponendo subito la linea in caso di sconfitta (che puntualmente si è materializzata). E ha detto, sempre secondo il retroscena: “Se Truzzu perde, significa che ha perso tutto il centrodestra. Non ditemi che Solinas (il candidato che avrebbe voluto riconfermare la Lega, ndr) avrebbe fatto meglio”. A risultato acclarato, però, è Meloni a infuriarsi con Salvini. Secondo lei, infatti, i leghisti hanno votato per Todde. Perché alla fine Truzzu avrà circa 5mila voti in meno rispetto ai consensi raccolti dalle liste. Uno scarto che puzza di bruciato. Ma c’è di peggio…

Come riporta ancora Ciriaco, Salvini sarebbe ora deciso a impostare una strategia di logoramento nei confronti della premier, con un’escalation che dovrebbe durare fino alle Europee. Ma se Salvini alzerà il tiro, se nei prossimi tre mesi proverà a colpirla ancora, la Meloni reagirà candidandosi alle Europee. Poi, conti alla mano, deciderà se proseguire a Palazzo Chigi. Il primo assalto della Lega, però, è già pronto: sarà sul terzo mandato. “Palazzo Chigi ha già deciso come reagire: se la Lega non dovesse frenare, il governo metterà la fiducia sull’intero provvedimento, impedendo che i senatori del Carroccio possano esprimersi”. Un vero e proprio schiaffo che rischia di far saltare il banco. Alle porte, inoltre, ci sono anche le lezioni in Abruzzo e Basilicata, dove potrebbero di nuovo cambiare gli equilibri tra Lega e FdI.

Estratto dell’articolo di Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”

Come guidata da un’inarrestabile forza di gravità, il rischio di una disfatta sarda piomba in consiglio dei ministri. È primo pomeriggio, ma a Palazzo Chigi già si fanno spazio cattivi pensieri.

Raffaele Fitto, che di Giorgia Meloni è fedelissimo e amico, duella con Matteo Salvini. Con un’asprezza inedita, figlia di ore concitate. Volano parole pesanti […]. Il leghista gli imputa di aver finanziato alcune opere del Pnrr tagliando i progetti di ponti, strade e ferrovie, a lui cari da ministro delle Infrastrutture.

Alla fine, Salvini lascia la sala prima del tempo. «Così non va, proprio non va», si infuria. Distanze sul merito, certo. Ma è ovviamente la politica a guidare. E a far prevedere che la battaglia, nel centrodestra, è appena cominciata.

Dallo spettro di una prima sconfitta della presidente del Consiglio bisogna partire. La reazione a caldo della leader è quindi: comunque vada, non è successo niente.

A chi la ferma […] dedica al massimo una smorfia di indifferenza. Uno scudo indossato per non pagare da sola il prezzo politico di un candidato debole imposto personalmente a Salvini, a costo di pubblica mortificazione.

Per mettere in sicurezza la situazione, fa anche di più: riunisce a pranzo il segretario della Lega e Antonio Tajani. E lo fa impostando questo messaggio: «Se Truzzu perde, significa che ha perso tutto il centrodestra — il senso dei suoi ragionamenti, riferiscono — Non ditemi che Solinas avrebbe fatto meglio». Calmi e niente polemiche, insiste.

Fin qui, la propaganda. Certo, Salvini annulla la partecipazione alla trasmissione di Nicola Porro, prevista per la sera. Ma la realtà è che Meloni è più che irritata: è nello stesso tempo furiosa con l’alleato e preoccupata dall’imminente futuro.

Il voto disgiunto non spiega da solo un risultato deludente, ma certo a Palazzo Chigi prevale la convinzione che i leghisti abbiano votato per Todde. È quella «lealtà» che aveva chiesto a porte chiuse ai partner. E che rinfaccia al vicepremier durante il pranzo, senza sconti: alla fine, Truzzu avrà almeno cinquemila voti in meno rispetto ai consensi raccolti dalle liste. Uno scarto risultato decisivo.

Ma c’è di molto peggio […]. La destra si prepara alla battaglia intestina. Salvini, sospinto dai suoi, imposta a tavolino una strategia di logoramento ben precisa. Con un’escalation che dovrebbe durare fino alle Europee.

Il primo assalto sarà ovviamente lanciato sul terzo mandato, quello caro a Luca Zaia per ottenere la riconferma da governatore. Quello che Salvini ha preteso per settimane, inascoltato. Tra qualche giorno l’Aula del Senato deve esprimersi sull’emendamento padano. Palazzo Chigi ha già deciso come reagire: se la Lega non dovesse frenare, il governo metterà la fiducia sull’intero provvedimento, impedendo che i senatori del Carroccio possano esprimersi. Uno schiaffo, una sfida al cuore del Carroccio.

Questa è l’aria che tira. Per non parlare del dibattito sulle ragioni del risultato. Nella prima cerchia meloniana, l’idea diffusa — che nessuno nasconde, e anzi in diversi veicolano — è che anche la vicenda delle manganellate di Pisa agli studenti abbia inciso, in qualche modo. Spostando consenso.

Meloni sarebbe irritata, dunque. E lo sarebbe non per l’incidente di piazza, ma per le parole pronunciate da Sergio Mattarella a poche ore dall’apertura delle urne, nel giorno del suo primo G7 presieduto da presidente del Consiglio.

Tensione alta, altissima. E la sensazione che qualcosa stia cambiando. La prima preoccupazione arriva dalle prossime regionali. Il 10 marzo si vota in Abruzzo — dove corre un meloniano come Marco Marsilio — poi in Basilicata: sembravano due partite chiuse, ma adesso? […]

E poi c’è la corsa più importante: quella di Meloni alle Europee. Il vantaggio della premier è quello di aver già comunicato ai suoi che non scioglierà la riserva prima di aprile. Potrà pesare i sondaggi, nel frattempo.

E valutare i contraccolpi del voto sardo. La verità è che Meloni teme di sbilanciare ulteriormente il governo, scendendo in campo. E ha paura di non ottenere le percentuali sperate per potere cantare vittoria. Ma di una cosa si dice certa […]: se Salvini alzerà il tiro, se nei prossimi tre mesi proverà a colpirla, se giocherà al logoramento, lei reagirà candidandosi. Poi, conti alla mano, deciderà se proseguire a Palazzo Chigi. E soprattutto, come ridisegnare gli equilibri dell’esecutivo. Non certo a favore di Salvini.

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  1. Andate a chiedere voti a Kiev, buffoni. Ci avete praticamente portati in guerra contro la Russia, con il vostro accordo di ieri: 10 anni di supporto militare all’Ucraina, ma come vi e’ venuto in mente un tale trattato? Senza nemmeno discuterlo in parlamento e svilendo ancora una volta la costituzione? Servi degli USA, nemmeno un briciolo di rispetto per il popolo sovrano e il vostro dovere istituzionale.

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