E’ sparita Marta Fascina? Circolano strane voci su di una presunta malattia: la poverina sarebbe depressa

Estratto dell’articolo di Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera”

Buona domenica, onorevole Marta Fascina: guardi che la stanno cercando. Chiedono: dov’è? Qualcuno lo sa dov’è? Soffiano da Forza Italia. Malvagi. Gonfi di veleno.

Era appena finita la festa dell’anniversario, venerdì pomeriggio, qui a Roma, all’Eur: ma la perfidia pretende rancore e talento.

[…] eccoli meschini e spietati, ossessionati dalla quasi vedova del Cavaliere, che gli fu quasi moglie. «Hai capito che Marta Fascina non s’è vista nemmeno stavolta?».

Capito, certo, vero: è sparita di nuovo. Un fantasma con i capelli biondo platino chiusi a chignon, il viso magro e pallido, biancastro, e un luttuoso tailleur nero: resta quest’immagine sfocata della sua ultima apparizione molto mediatica, il 7 novembre scorso, nell’aula di Montecitorio, dove mancava da nove mesi.

Con i fotografi che […] cercano di avvicinarla a colpi di zoom e i cronisti tutt’intorno quando poi esce in Transatlantico, nella vana speranza di riuscire a farle qualche domanda, intuendo che l’avrebbero rivista poche altre volte (racconta una fonte: «In commissione Difesa, dove ricopre pure il ruolo di segretaria, da quel giorno Marta sarà venuta, forse, una volta. E si tenga presente che, considerate tutte le guerre in corso tra Ucraina e Gaza, ci riuniamo almeno due volte alla settimana»).

La storia dell’assenza di quei lunghi nove mesi dai lavori parlamentari — tutti però regolarmente retribuiti con il sontuoso stipendio che conosciamo — è sempre stata raccontata in un miscuglio di bizzarro rispetto e pelosa comprensione. La verità è che a chiunque osasse sollevare il problema veniva ufficiosamente spiegato che Marta era impegnata «a seguire il tramonto politico e umano di Silvio». Doveva bastarci.

Ti guardavano storto: non va bene? Gli si faceva segno di sì, certo, ma s’ascoltava e non si prendevano appunti, nemmeno a rispondergli che a tutti noi, gente comune, è capitato di dover seguire il declino di un parente, e talvolta l’agonia, e tutti […] abbiamo comunque continuato a lavorare. E poi c’è da aggiungere che però proprio lui, il Cavaliere, anche nei giorni peggiori, è sempre stato il plastico e meraviglioso esempio […] di come si debba lavorare sempre, non si debba mai mollare, e infatti lo vedevamo arrivare esausto, barcollante, […] il sorriso deformato in un ghigno di fatica, ma era lì che veniva avanti orgoglioso e pieno di rabbiosa dignità tra i velluti rossi di Palazzo Madama.

[…] Ricostruire con precisione fatti e circostanze non è complicato. Dopo la morte del Cavaliere, l’onorevole Fascina rimane a Villa San Martino, tra putti dorati e lampadari sempre accesi come a Versailles.

I racconti fatti filtrare: vive immersa nel lutto, non riesce a immaginare la sua vita senza Silvio (che, intanto, le ha lasciato in eredità 100 milioni d’euro). Compare, di colpo, l’8 agosto allo stadio di Monza, Trofeo Berlusconi: rigida, un bacio sulla guancia di Pier Silvio, e poi via, di corsa. Un mese dopo spedisce una lettera ai giovani di FI riuniti a Gaeta: «Troppo forte il dolore per l’uomo che ho amato, non posso essere con voi».

Non va nemmeno a Paestum, dove è stato organizzato un evento per ricordare il Cavaliere. Fa sapere: piango sempre. A questo punto, Paolo Berlusconi sbotta: «Basta con le lacrime. Ho detto a Marta di trovare la forza per tornare in Parlamento… è un suo dovere!».

Mariarosaria Rossi, ex fedelissima del Cavaliere (detta, nei tremendi giorni dei Bunga Bunga, la «badante») usa uno spillo: «Può sempre dimettersi da deputata». Marta è piegata dal dolore, ma coglie una certa elettricità. Il primo novembre annuncia a Tommaso Labate: «Ho deciso: torno a Montecitorio».

Arriverà a Roma a bordo di un jet privato, con due segretari, due giganti di scorta e un dogsitter che tiene al guinzaglio due barboncini. Il Cavaliere adorava i barboncini (a questo punto, bisognerebbe parlare di Dudù e di Francesca Pascale, ma sarebbe un altro racconto).

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