Non te lo ha regalato perché non ti sei laureata! Selvaggia Lucarelli mette in mezzo suo nonno per sostenere che a casa sua c’era il patriarcato. Sputtanata in tempo zero

LA MIA VITA “DA FEMMINA” – Sessismo quotidiano. Mio nonno regalò 1 milione per la laurea a mio fratello, a me niente. Poi ci fu il liceo, i registi ai provini, gli insulti in tv, le battute “chi ti scrive i post?”

(DI SELVAGGIA LUCARELLI – ilfattoquotidiano.it) – Quando qualcuno mi chiede che esempi possa fare per sostenere con certezza che il patriarcato esista e che ci si nuoti dentro, tutti, anche quando ci si sente asciutti, non so mai da che parte cominciare. Perché, appunto, ci sono dentro da sempre. Parto da mio nonno paterno, per cui il primo nipote maschio – mio fratello – era il più alto rappresentante della stirpe, quello che doveva garantire la sopravvivenza del cognome e quindi, quando si diplomò, ricevette da lui 1 milione di lire. Era stato bocciato due volte e alla maturità aveva raccattato un voto misero, ma mio fratello era maschio ed era il primo nato tra i nipoti, quindi riceveva il premio del privilegio. Quando io, otto anni dopo, mi diplomai senza bocciature e con voti altissimi, non mi sentii neppure dire brava. Quella disparità di trattamento su cui mia madre scherzò con una punta di amarezza (“Eh, il nonno fa nipoti e nipotastri!”) mi ferì in un modo difficile da spiegare. Sentii che la mia vita da adulta non iniziava dalla stessa linea di partenza su cui posava i piedi mio fratello. Io partivo almeno 100 metri più indietro, ed ero arrabbiata.

Ero arrabbiata con lui già da prima, dalle scuole medie. Frequentavamo entrambi un istituto di suore, lui era quello che lanciava gli astucci dalle finestre, io ero la prima della classe. La preside – una donna di rara cattiveria – stravedeva per lui. Fabio era il ribelle scapestrato che strappava un sorriso anche alle suore più rigide. E così molti altri maschi, che godevano di una certa indulgenza. Con le femmine era tutt’altra storia. Se lì dentro si voleva sopravvivere, bisognava essere docili, invisibili. La preside entrava in classe a sorpresa per sequestrare i diari delle ragazze e controllava che non ci fossero contenuti ammiccanti, scrutava la lunghezza delle gonne e se erano corte ci umiliava pubblicamente, se si accorgeva di un filo di trucco ci faceva lavare la faccia nel bagno della scuola.

Al liceo ero carina, forse al quarto anno – non ricordo esattamente – apparve il primo “Selvaggia puttana” scritto su un muro della palestra. Un insegnante – un sacerdote – ogni tanto iniziò a chiedere ai colleghi di farmi uscire dalla classe durante le loro lezioni. Mi portava in un’aula magna completamente deserta e mi faceva domande “da sacerdote” sulla mia vita sessuale, su quello che facevo col primo fidanzatino, mi diceva anche che ero bella e speciale. Durò poco, forse due mesi. Non so come sarebbe finita perché morì all’alba di un lunedì in un incidente d’auto. Fu orribile non solo la sua morte, ma la sensazione di sentirmi sollevata dalla morte di un uomo che mi stava assediando senza che nessun adulto lo capisse. Il padre di una ragazzina del liceo mi abbordò sulla sua auto.

Mentre finivo la scuola iniziai a lavorare in qualche fotoromanzo a Roma. Ero felice, ma durò poco. Uno degli attori (poi diventato abbastanza famoso) iniziò a chiamarmi sul numero di casa proponendomi di trascorrere un weekend con lui e il signore che faceva i casting. Dissi di no, non mi chiamarono più. Frequentai una nota scuola di teatro a Roma: i due anziani insegnanti avevano un metodo didattico che a pensarci ora sembra roba di mille anni fa, tanto oggi sarebbe per fortuna impraticabile. Alle studentesse, appena iniziavano a recitare qualcosa, urlavano “troia”, “puttana”, “Hai scopato stanotte?”. Tutti i giorni. E nessuno rispondeva o protestava. Era così e basta. Era il loro metodo, se non ti piaceva andavi a casa.

Nel frattempo facevo provini. Ce ne fu uno dopo il quale smisi di fare provini. L’anziano signore della tv che in questi giorni è al centro delle cronache metteva le ragazze tutte in fila. Decine di ragazze erano lì per un semplice ruolo di figurante che doveva sedere a un tavolo. Ci guardava in volto a una a una senza dirci una parola. Col ditino indicava da che parte dovevi andare, se fuori o dentro. Superata la prima selezione passava a guardarci a figura intera. Eravamo giumente davanti al fattore. Tu sì, tu no. Tu sì, tu no. Fuori molte ragazze piangevano.

Iniziai con il teatro, fui assunta in una compagnia. Il produttore mi disse che i ruoli principali andavano alle sue fidanzate, avremmo potuto fidanzarci. Ottenni forse 15 battute in due ore di spettacolo.

Scrissi per molti anni i testi a un fidanzato attore, dicevano che lui aiutava me.

Divenni conosciuta con un blog, scrivevo post divertenti, che avevano successo, sul web eravamo quattro gatti e i primi commenti erano “chi ti scrive i post?”.

Poi sono diventata “la moglie del figlio di Pappalardo”. Ho partecipato a un reality, c’era una vera, reciproca simpatia con un concorrente sposato, io fui definita “sfasciafamiglie”, lui rischiò di vincere.

Ho iniziato a scrivere sui giornali, ad avere successo in tv. A proposito di tv, un famoso ex direttore di rete mi iniziò a toccare nel buio di una sala, durante una diretta tv che stavamo guardando seduti vicini. Negli ultimi anni mi hanno dato della tro*a in tv, mi insultano per i miei trascorsi sentimentali, per il mio aspetto fisico, per la mia età tutti i giorni. Che io abbia una discussione con un direttore di giornale o con un qualunque collega, il tutto scivola quasi sempre sull’insulto personale, sullo svilimento della mia competenza e della mia persona. Per proteggermi non accetto quasi mai di partecipare a talk con altri ospiti in tv e quando lo faccio, quasi sempre me ne pento. Di solito, per sminuire la mia professionalità, l’interlocutore maschio scomoda la mia presenza a Ballando con le stelle, insomma, seleziona la casella frivola in cui inserirmi, perché noi donne ci occupiamo di balletti mica di cose serie. Un uomo può dire la sua sul calcio e restare autorevole, una donna non può parlare di danza perché è una sciacquetta. Quando esprimo il mio punto di vista i giornali scrivono che “attacco”, “faccio polemica”, “punto il dito contro”. Gli editorialisti uomini hanno un’opinione, io faccio pollaio. Se un uomo critica un uomo è dibattito, se io critico una donna sono invidiosa. Se un uomo ne sa più di me è competente, se io ne so più di un uomo sono “una maestrina”.

Di solito, quando qualcuno mi chiede che prove ho io, proprio io che ho potere e successo che il patriarcato esista, inizio a raccontare quello che ho raccontato fin qui. Di solito, se l’interlocutore è uomo, dopo avermi ascoltata per dieci minuti fingendosi interessato, quell’uomo commenta: “Ma non è che sei tu che hai un brutto carattere?”.

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