Clandestini, hanno fatto i conti di quanto ci costa la genialata di Giorgia Meloni di mantenerli per ben 18 mesi nei centri d’accoglienza

Estratto dell’articolo di Francesco Grignetti per “la Stampa”

Costerà cara, la stretta securitaria di Giorgia Meloni. Raddoppiare il numero dei Centri di permanenza e respingimento, in sigla Cpr. Estendere il tempo massimo di trattenimento. Prevedere più voli per il rimpatrio forzoso dei clandestini. A prescindere dalla sofferenza che si imporrà a tanti migranti che verranno trattenuti per un periodo lunghissimo, le spese aumenteranno in maniera esponenziale e peraltro senza garantire i risultati.

Già, perché tutta l’impalcatura repressiva poggia su un presupposto che al momento non c’è: gli accordi di riammissione verso i Paesi di provenienza dei migranti sono ancora da stipulare, eccetto che per Tunisia, Egitto e Albania […]

Soltanto per il vitto e l’alloggio degli espellendi, il ministero dell’Interno spende attualmente una trentina di milioni di euro all’anno. Servono a garantire pranzo e cena, e un posto letto, alle seimila persone che mediamente vengono trattenute nei Cpr. Ma servirà almeno il doppio se davvero, come è nei progetti del Viminale, si arriverà a trattenere tanta più gente. Occorreranno 60 milioni di euro? Verosimile. E siamo solo alla prima delle voci di spesa.

Il costo pro-capite per migrante trattenuto, facendo di conto, si aggira sui 50 euro al giorno, solo per vitto e alloggio. Dato che si ipotizza una detenzione massima di 18 mesi, pari a 550 giorni, ogni clandestino alla fine costerebbe allo Stato quasi trentamila euro.

Aumentare la rete dei Cpr, poi, è un’aspirazione del Viminale che viene da lontano. Ne parlava già Matteo Salvini nel 2019 quand’era lui il ministro. E non successe nulla. Da un punto di vista razionale, indubbiamente avere intere regioni senza Cpr implica che per ogni persona da trattenere, e capita di continuo, una macchina della polizia è costretta ad attraversare mezza Italia finché si trova un posto libero.

Oggi siamo a 10 strutture, e nemmeno tutte sono operative. Giorgia Meloni annuncia adesso di volerne realizzare almeno uno per Regione, sollevando molte rimostranze in giro. Per costruire nuovi Cpr e fare la manutenzione di quelli esistenti, come verificato da Openpolis, il bilancio del ministero aveva previsto nel 2022 la spesa di 26,7 milioni di euro; nel 2023 si è saliti a 32 milioni di euro. Sarebbero previsti 46 milioni per il 2024. Ma ovviamente tutto ciò non basterà se davvero bisognerà impiantare dieci nuovi Cpr. Anche questa cifra, a spanne, andrebbe raddoppiata, arrivando a 100 milioni.

[…] Si consideri che attualmente la polizia di Stato è costretta a utilizzare, a vario titolo, ben 12 mila agenti per l’emergenza migranti. Nel conto ci sono quelli che emettono i permessi di soggiorno, quelli che fanno il fotosegnalamento ai nuovi arrivati, quelli che svolgono indagini sugli stranieri, e anche quelli che presidiano i cancelli dei Cpr, poi accompagnano i rimpatriati fino al loro Paese e tornano indietro.

La vigilanza sui Cpr, in particolare, è una incombenza dei Reparti mobili. Capita così a Roma, a Milano, a Bari. Ciò significa che si devono sobbarcare molte notti di vigilanza, quando il loro servizio sarebbe un altro. E c’è anche l’effetto collaterale che i Reparti mobili sono stati trasferiti di sede e sono tutti attaccati agli aeroporti, perché è preferibile costruire un Cpr vicino a dove decollano gli aerei che dovrebbero portare via gli espulsi.

Ci sono infine da computare i costi dei voli. Il Dipartimento di Ps ha quantificato con una recente circolare che il costo medio del rimpatrio di un irregolare costa 2.365 euro. C’è stato un aumento dei costi del 30% rispetto ai 1.798 euro del 2022. Nel 2020, per dire, come certificato dalla Corte dei Conti, furono spesi 8 milioni 334 mila euro.

Alla fine, insomma, c’è da dire che la montagna partorisce un costosissimo topolino: dagli 80 milioni di euro che spendiamo oggi, con queste misure potremmo arrivare al doppio se non al triplo. Al 31 agosto i rimpatriati erano appena 2.293 (in linea con il 2022, quando furono in tutto 3.275): in Tunisia sono state riportate 1.441 persone (nel 2022 erano state 2.308), in Albania, 362; in Egitto, 212.

Mediamente soltanto una metà dei trattenuti torna davvero nel Paese di provenienza. Gli altri vengono rilasciati perché sono scaduti i tempi, o perché la magistratura non convalida il trattenimento, o perché i soggetti non sono stati compiutamente identificati. È un problema comune in tutta Europa. […]

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