Marina Berlusconi è davvero furibonda contro Giorgia Meloni: la tassa sulle banche ha colpito anche la cassaforte di famiglia. Una volta tanto che la Ducetta ne fa una buona, arriva la crisi di governo per motivi ‘famigliari’

commento di dagospia.com

1. La famiglia Berlusconi è davvero incazzata con la famiglia Meloni – La tassa sugli extraprofitti, fatta alle spalle di Forza Italia, colpendo anche banca Mediolanum, che è la cassaforte di Fininvest, ha spaccato l’intesa cordiale tra Marina e Giorgia
2. E Tajani si libera dalle catene della ducetta: unico modo per sanare la frattura, escludere dalla tassazione i titoli di stato e le piccole banche (cioè Mediolanum)
3. Marina la pensa come il defunto padre sulla Meloni (“un comportamento arrogante, prepotente, offensivo e supponente. E’ una con cui non si puo’ andare d’accordo”) e ha fatto presente a Piersilvio di non farsi incantare perche’, prima o poi, la Ducetta se lo mangia – intanto Licia Ronzulli e i suoi paggetti preparano una corrente per traslocare verso altri lidi (Lega? Renzi?) – Che fine farà Forza Italia? Se non riesce a contare nel governo, Berluscones pronti a sbarazzarsi del partito

Estratto dell’articolo di Laura Serafini per “Il Sole 24 Ore”

Forza Italia lavora a quattro emendamenti per modificare, nel dibattito parlamentare, la tassa sugli extra profitti delle banche. Tra questi l’esclusione dalla nuova imposizione dei rendimenti dei titoli di Stato, l’esenzione per le piccole banche, oltre a rendere deducibile la gabella (anche parzialmente) e a evitare che l’imposta, per ora riferita al 2023, sia prorogabile.

Lo afferma Antonio Tajani, vicepremier, ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia. «Bisogna rivedere la norma affinchè non crei problemi al nostro sistema economico-finanziario e non ci siano ricadute sulle prossime aste per i titoli di Stato». Secondo Tajani, che annuncia per il 6 settembre la prima riunione di maggioranza sulla manovra, le priorità sono la detassazione dei salari, partendo da quelli più bassi, e l’aumento delle pensioni minime».

Ministro, la tassa sugli extra profitti è da riscrivere?

«Sono preoccupato. Parto da un principio: è giusto che le banche in questo momento siano chiamate a dare un contributo. Su questo sono d’accordo, mentre come Forza Italia siamo in disaccordo sul metodo con il quale è stata introdotta. Ora però bisogna scrivere bene la norma affinché produca un effetto positivo sui conti dello Stato senza creare problemi al nostro sistema economico-finanziario e al bilancio dello Stato.

Una delle preoccupazioni è legata al fatto che si tassano i rendimenti dei titoli di Stato invece di incentivare le banche a questi titoli. Poiché sono oltre 400 miliardi quelli detenuti dalle banche (sono il secondo detentore per dimensioni dopo la Banca d’Italia) rischiamo che ci siano ricadute sulle prossime aste, perché gli istituti di credito potrebbero non essere invogliati a partecipare.

[…] Intendiamo presentare emendamenti in Parlamento per correggere 4 punti. Dobbiamo tutelare le banche di piccole dimensioni, che non possono essere messe sullo stesso piano delle banche più grandi. Bcc e Popolari rischiano di pagare in proporzione di più degli istituti più grandi. E questo anche per un tema legato al trattamento prudenziale, perché le realtà più piccole adottano i modelli standard mentre quelle più grandi adottano modelli interni che danno maggiori possibilità di mitigare l’impatto della tassazione.

C’è, peraltro, un aspetto non chiaro nella norma: tassiamo solo gli utili prodotti in Italia, o anche quelli generati all’estero dai gruppi che hanno attività oltreconfine? Altro aspetto da modificare è la parte inerente l’aggravio di tassazione sui titoli di Stato, escludendoli. Poi l’introduzione della deducibilità di questa tassa, non consentita dalla norma, e l’indicazione che l’imposta è una tantum».

Ma la norma è già chiara: la tassa vale per il 2023.

«Dobbiamo rendere questo ancora più chiaro ed evitare che ci sia la tentazione di prorogarla. Ho apprezzato la dichiarazione del senatore Lucio Malan di Fdi, il quale ha affermato che il testo si può modificare in parlamento. È importante rassicurare gli investitori esteri e chi fa impresa”. […] Dal mio punto di vista tra queste sfide ci sono le riforme, tra le quali la riforma tributaria e quella della giustizia civile, che vale il 3% del Pil. Un’altra grande riforma è legata alle privatizzazioni. Tutto questo è necessario a rimettere in moto l’economia e a convincere famiglie e imprese che detengono 1.800 miliardi di liquidità presso le banche a investirli».

La precedente stagione di privatizzazioni non si è rivelata un grande successo, però, e c’è già chi nel governo storce il naso, come la Lega.

«Non intendo svendere le infrastrutture pubbliche. La mia proposta prevede un progetto che aumenti la privatizzazione e le liberalizzazioni nel settore dei servizi, a fronte di un controllo severo da parte dello Stato. La Cdp, ad esempio, potrebbe avere una partecipazione di riferimento ed esprimere la figura del presidente nei cda. Nel caso dei porti, ad esempio, ci sono già molte banchine in mano ai privati. Si tratta di affidare in concessione la gestione, mentre la linea di indirizzo sarebbe comunque statale e i beni resterebbero di proprietà pubblica. […] All’interno della maggioranza del governo non ne abbiamo parlato: stiamo ponendo un tema sul quale l’auspicio è che si apra un dibattito».

Recenti iniziative del governo, dal possesso di Ita all’obiettivo di rilevare la rete di Tim, sono però in contrasto con le privatizzazioni.

«Ci sono alcune attività di interesse nazionale nelle quali lo Stato può e deve intervenire. Nell’ambito della manovra come si fanno a finanziare interventi di lungo periodo, come le detassazioni dei redditi, con i proventi della tassa sugli extra profitti che è una tantum? Mi auguro che l’inflazione non continui a restare su questi livelli a lungo. Abbiamo vissuto anni di emergenze, spero che ora si torni a una situazione più normale.

Il presidente della Fed Powell ha dichiarato che non vede margini per tagli dei tassi di interesse. Anche la presidente della Bce Lagarde ha detto che la battaglia contro l’inflazione non è vinta […]».

Torniamo alla manovra. Quali altre priorità ci sono?

«Dobbiamo stabilizzare le misure per la riduzione del cuneo fiscale fino al 31 dicembre. L’altro tema importante sono le pensioni, anche in questo caso la tutela del potere d’acquisto è importante. Abbiamo portato fino a 600 euro le pensioni minime, ma l’obiettivo è arrivare a mille euro a fine legislatura. I fondi si possono reperire, c’è anche il contributo della lotta all’evasione, che, nel momento in cui riduci la pressione fiscale, diventa più facile ma deve restare rigorosa. Lì si possono recuperare anche oltre 10 miliardi».

Quanto potrà valere la prossima manovra?

«Faremo il punto su questo nella riunione di maggioranza, che sarà spostata al 6 settembre, quando sarò di ritorno dal viaggio in Cina. L’entità della manovra è connessa con il patto di stabilità».

Dal primo gennaio torneranno in vigore le vecchie regole o ci sono margini per un accordo su un modello più flessibile?

«Il dibattito è aperto: la proposta della Commissione europea è migliore del precedente modello, ma non va ancora bene. È necessario trovare un accordo con Bruxelles: a suo tempo avevo detto che si poteva pensare a una dilazione di 6 mesi. Inoltre è necessario escludere dal deficit alcune spese, come ad esempio le spese per la guerra in Ucraina o gli investimenti per il Pnrr. Non si può pretendere, però, di adottare un patto di stabilità e crescita che aiuti solo alcuni paesi europei. L’Europa funziona se c’è una visione comune: non si può fare il patto di stabilità e poi non completare l’Unione bancaria o non fare l’armonizzazione fiscale. Il governo è coeso su questi aspetti. Il vecchio patto di stabilità, in ogni caso, non può e non deve tornare in vigore».

I tempi sono maturi perché l’Italia ratifichi le modifiche al Mes?

«Vediamo cosa accadrà quando il testo arriverà in aula. Ero favorevole all’uso del Mes sanitario. Ho perplessità, direi europeiste, sul nuovo regolamento del Mes. E questo perché la struttura del meccanismo di stabilità non è sottoposta ad alcun controllo nell’Unione europea, il suo direttore non rende conto a nessuno. Anche se penso che alla fine il Mes non lo userà nessuno. Ma questa vicenda rientra nel discorso della visione europea che deve essere comune: è necessario ragionare su un pacchetto complessivo. Se si ragiona su patto di stabilità e Mes, allora va fatto anche per l’Unione bancaria e l’armonizzazione fiscale. Alcuni paesi europei più rigoristi non possono continuare a chiedere senza dare».

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